Ciò che vale si paga caro e Adriano è un grande artista
Le star ed il talento si pagano ed Adriano Celentano è una star ed ha talento, per questo sono favorevole alla sua partecipazione al Festival di Sanremo. In questi giorni, tra gli argomenti portati avanti dal fronte del no al Molleggiato, i più gettonati paiono essere il compenso, giudicato troppo alto, il fatto che si farà pubblicità, l'essere la Rai un servizio pubblico e noi un Paese alla prese con la crisi economica. Come al solito, da troppi anni a questa parte, in Italia si argomenta buttando la palla in calcio d'angolo e non prestando attenzione alla partita. Andiamo per ordine. Che il merito sia pagato e pure bene non lo trovo affatto scandaloso ma sacrosanto. Che lo faccia la Rai, ovvero il servizio pubblico, non è un fatto che riguarda Adriano Celentano ma un sistema televisivo dove la Rai ha un peso culturale, politico e produttivo importante da quasi sessant'anni. Oggi, che quel peso appare in forte calo, per programmi sbagliati e per una serie di altre ragioni (non ultima la trasformazione del mezzo tv con l'avvento del digitale, di Sky e del satellite), non si può certo mettere in carico a Celentano di non aver privatizzato la Rai. Quanto al farsi pubblicità (ammesso che accada), vivaddio! Negli Stati Uniti le star di Hollywood, chiamate a partecipare agli eventi in quanto star, oltre ad essere se stessi sono una marca ed un carattere che tiene insieme la loro faccia, la loro voce, le loro espressioni, il loro talento e i loro film in uscita. Comprese - e non si scandalizzino i moralisti - le opinioni che nessuno di là dall'Oceano gli chiede di contrattare prima. Celentano è una star italiana che si porta appresso la propria voce, il suo essere se stesso, le sue canzoni e - perché no - i suoi dischi. Un artista si esprime con i mezzi che ha scelto ed un cantante - da che mondo è mondo - usa la parola, con e senza musica. Per questo trovo assai insulso il dibattito attorno a cosa dirà quando non canterà e se dovrà (o no) dirlo. Ma di cosa stiamo parlando signori? Un paese libero - come il nostro - una domanda del genere manco se la dovrebbe porre. Si chiama Celentano per essere se stesso non per essere un pezzo di sé, perché la libertà non può essere pornografica e raccontata attraverso i dettagli di singole parti. La libertà è libertà. Punto. E qui si fa cruciale l'aspetto dello star system e della televisione italiana al tempo dei reality (seppur in crisi rispetto ad alcuni anni fa) e dei pacchi da indovinare. Prendiamo l'informazione: se un direttore come Enrico Mentana od un giornalista come Michele Santoro vengono pagati bene questo oltre ad essere logico per ragioni di mercato (alzano gli ascolti quindi aumentano gli introiti pubblicitari), lo è per ragioni di libertà. Loro, ma pure dei giornalisti non star che gli stanno sotto. Se pensiamo alla tv degli anni Novanta, insieme al decennio precedente uno dei periodi più innovativi e fecondi in Italia, vediamo come lo star system avesse un peso cruciale dentro l'informazione e come la stessa fosse meno omologata e ripetitiva di quella attuale, dove ad ogni compenso alto si grida allo scandalo senza guardare al merito. E dove i programmi simili si moltiplicano. Quando un lettore, sul Tempo di ieri, scrivendo al nostro direttore Mario Sechi auspicava che il pagamento di Celentano a Sanremo avvenisse in BOT, materializzava un malcontento nazionale non verso Celentano ma verso lo Stato e gli enti pubblici che non pagano i loro creditori. Si tratta di due cose non legate da nesso logico: Celentano ha talento e va pagato, lo Stato deve pagare i suoi debiti verso i cittadini ma non è che se non si ingaggia Celentano a Sanremo lo Stato paga prima. Non cambia una virgola, anzi sì: nel senso che lo spettacolo del Festival diviene più povero artisticamente e - aggiungiamo noi - meno libero senza l'imprevedibilità di Celentano. Nessuno è perfetto, neppure Adriano lo è. Ma un artista non lo si spezza, lo si prende com'è. Per fortuna: certamente sua ma pure nostra.