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Il poeta esule che soffia contro la repressione

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Neesce il suono di un'ocarina, così come il canto di un poeta. Il poeta è Yang Lian, cinese, nato in Svizzera nel 1955, tornato in Patria con i genitori diplomatici, uscitone dopo Tienanmen. È uno dei quattro Premi Nonino 2012, consegnati ieri a Percoto-Udine, davanti a un parterre eccellente (tra gli altri, Gad Lerner, Cesare Romiti, Fabio Capello, Ermanno Olmi, il Nobel Visna Naipaul). Dice Lian: «In un'ocarina si conserva il pianto dei demoni di migliaia di anni». I demoni sono il soffio vitale seppellito con l'esercito di terracotta a Xi'an. «Sul lato del grande scavo ho visto la terra aprirsi. Un universo defunto così vicino viene tuttavia dimenticato radicalmente. A piazza Tienanmen nel 1989 il mondo era scioccato per il massacro e io sconvolto: dove era andata la memoria di tante morti precedenti? Nel vagare all'estero ho portato questa esperienza quotidiana al limite estremo. Il viaggio interiore di una vita è ascoltare la poesia, la musica suonata dall'ocarina». Lian - pubblicato in Italia da Einaudi e da Scheiwiller e premiato nel 1999 con il Flaiano - ora vive a Londra. Non ha voglia di tornare nel suo Paese, anche se gli sarebbe possibile in una situazione politica che ha allargato le maglie della censura. «La fama acquisita all'estero accentuerebbe l'attenzione su di me. Non voglio salire sul palco del potere». Continua a sferzare Pechino. «Non è poi cambiato tanto in Cina. Non è segno di occidentalizzazione se i giovani passano ore su Internet. La Cina è fin troppo cinese e riassume ancora le peggiori caratteristiche del comunismo. La repressione è aggravata dalla corruzione. È stata la corruzione a causare il crollo della scuola costruita con materiale scadente per le Olimpiadi a Pechino. Wei Wei, archistar dei Giochi, lo ha capito. Ora è un dissidente». Per Lian la poesia è arma. Contro la mancanza di libertà in Cina e contro l'indifferenza quotidiana che ciascuno sopporta. Il poeta siriano Adonis, altro profugo, che gli ha consegnato il Nonino, osserva di Yang: «Non ha cercato il linguaggio dell'esilio. Comprende che l'artista è esiliato perfino nella terra d'origine. E poi dov'è il grande artista che possa definirsi non esiliato? Forse in questo quesito risiede la conferma che il mondo in cui viviamo è afflitto da una crisi di pensiero più pericolosa delle crisi economico-politiche». Chiosa sorridendo Lian: «Le arti non siano decorazione vuota di un mondo cinico. Dovrebbero invece tenere in vita la vita». Dare il fiato che fa volare in alto l'esistenza. In un verso c'è la Storia. Nel «demone che alita nella terracotta, uno strumento suonato seimila anni fa, il pianto e la felicità».

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