Oggi il vero pericolo è il negazionismo
IlGiorno della Memoria è il momento in cui il nostro Paese si ferma a pensare l'orrore della Shoah, dello sterminio nazista in campi come quello di Auschwitz. Il lutto, per i più, sembrerebbe stato elaborato. L'orrore certificato. Eppure non è così. Oggi più che mai cresce il fenomeno del negazionismo della Shoah. Si fa forte nei corridoi delle università, dove i ragazzi studiano, o tra le viscere della Rete, dove tutti s'informano, o tra la gente e in mezzo alla strada, dove nuovi gruppi neonazi e revisionisti si moltiplicano. Ma cos'è il negazionismo, questo fenomeno in crescita nei Paesi europei, Italia inclusa? E qual è l'obiettivo? La professoressa di Filosofia a La Sapienza, Donatella Di Cesare, prova a riflettere sul tema nel suo saggio «Se Auschwitz è nulla - Contro il negazionismo» (il melangolo), presentato martedì alla Camera dall'organizzazione ebraica Benè Berith. Tenta di capire chi sono gli «adepti» di Hitler, perché profanano le ceneri della Memoria e, soprattutto, negano il passato tentando di minacciare anche il futuro. Si parte da un punto fermo: «Ci sono state le camere a gas e i forni crematori. C'è stato lo sterminio degli ebrei in Europa. La Shoah ha avuto luogo». Sulla storia, su questa storia, non ci sono altre verità. Sono troppe le testimonianze, molte delle quali ancora viventi, che certificano i fatti. E, allora, cosa è negato? Il problema, spiega la filosofa Di Cesare, è cosa vuol dire negare. «Se si dice di una cosa che "non è", s'intende che è altra. Ad esempio: "il recipiente non è rotto", perché è altro dall'essere rotto, essendo stato già riparato. La negazione è la possibilità aperta all'alterità». Ma non è questa la negazione dei negazionisti. Per loro "non è" significa "non esiste". «Quando dicono "non è", vogliono dire "non esiste"; il non essere nega l'essere, lo annienta e lo nullifica. Il loro negare emerge dal nulla e affonda nel nulla». Proprio per questo viene oltrepassato l'uso legittimo della «negazione». È un uso improprio della parola stessa. «È una negazione nichilista in stretta continuità con l'annientamento», che se accettata come negazione, però, rischia di divenire la teoria di un falsificatore che si proclama amante della verità. Ma perché la negazione-annientazione della Shoah? A quale scopo? La tesi antisemita, secondo la Di Cesare, è sintetizzabile così: poiché le camere a gas non sono esistite, e dunque lo sterminio degli ebrei è un "mito", non dovrebbe esistere neppure lo Stato di Israele. Quindi il rifiuto dello Stato ebraico, esplicitato da personaggi negazionisti come il presidente dell'Iran Ahmadinejad. Antisionismo, antisemitismo e negazione-annientazione della Shoah si miscelano. E segnano così gli anni più pericolosi per la conservazione e la comunicazione alle generazioni future della Memoria del genocidio. La professoressa, nel suo saggio, disegna pagina dopo pagina il profilo del negazionista. Spiega le ragioni del pericolo della legittimazione di un non-pensiero. Lo fa, ovvio, portando all'interno della sua fatica le vere voci della Shoah, raccontando l'unicità di Auschwitz e la scientificità di uno sterminio. Testimonianze dirette. Di ebrei e non. Documenti. È questo il seme della certificazione del genocidio. Che si ritrova anche nel racconto di Roberto Riccardi ne «La foto sulla spiaggia» (Giuntina). Non un saggio, questo, ma un testo che racconta la storia di una bambina che cresce nell'Italia povera, senza sapere nulla del suo passato, e di un padre rinchiuso nel campo di sterminio di Auschwitz che strappa ogni giorno la vita alla morte, pregando che moglie e figlia, perse di vista all'arrivo nel lager, siano ancora vive. Narrando un altro pezzo di verità sulla Shoah.