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Voltaire a ritmo di zapping

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Applausi per il filosofo illuminista musicato da Bernstein e «trasportato» nella tv anni Cinquanta di New York

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Unibrido tra operetta europea, musical americano, «comic opera» che ambisce ad assurgere a considerazione filosofica sul nonsense della umana vita e sulla inconsistenza immotivata di ogni forma di ottimismo integralista alla Leibniz. Come credere infatti che il nostro sia davvero il migliore dei mondi possibili se vi regnano, come Voltaire racconta nel suo romanzo breve (1759), guerre di religione, uccisioni, stupri, violenze, torture, schiavismo, persecuzioni, terremoti e naufragi? Al Teatro dell'Opera di Roma il capolavoro stars and stripes arriva nello scintillante e divertente allestimento napoletano del San Carlo datato 2007, registicamente firmato da Lorenzo Mariani, che risolve il problema del caotico girovagare empirico di Candide intorno al mondo (da Parigi e Lisbona a Venezia passando per un paradisiaco Eldorado) con lo stratagemma di collocare tutto tra le telecamere di uno studio televisivo. Espediente che risulta alfine vincente, nonostante la forzatura anacronistica, a rendere tuttora attuale la contestazione del presupposto illuminista (dopotutto il nostro mondo contemporaneo non è molto più perfetto di quello del cosiddetto secolo dei Lumi). Le diverse scene dell'opera, scenograficamente e musicalmente vero e proprio tour de force pirotecnico, diventano così quasi le puntate di una sitcom televisiva, con salti geografici e temporali tipici della narrazione per il piccolo schermo. Ma il ritmo dell'azione è affidato anche e soprattutto ai ventisette numeri musicali con danze e libera invenzione di Bernstein, assecondati a maraviglia da una bacchetta esperta ed estrosa come quella del direttore inglese di colore, ma di sangue caraibico, Wayne Marshall, grande esperto della musica americana più accessibile e meno sperimentale. La vicenda, seguendo la traccia narrativa del racconto filosofico settecentesco, si snoda sotto l'occhio attento di un Voltaire in carne ed ossa con tanto di parrucca (ruolo solo recitato sostenuto dalla brava Adriana Asti a rimpiazzare gli omessi dialoghi originali) quasi presentatore di un talk-show generalista. Nel rocambolesco viaggio, in cui il destino prende il sopravvento sulla sua volontà e si prende gioco degli uomini, il giovane ed ingenuo protagonista incrocia più volte sia il suo bislacco e credulo maestro Pangloss che l'amata Cunegonda (da un suo bacio e dal conseguente allontanamento da un castello della Westfalia si era messo in moto tutto il marchingegno drammatico). Ma la considerazione finale sarà che l'unica speranza che ci resta è nel lavoro che possiamo fare sulla nostra vita, ossia nel coltivare il proprio giardino. Alla già colorita messinscena contribuiscono anche video e proiezioni di quadri di Larry Rivers, pittore americano amico di Bernstein, che conferiscono colori e tratti d'annata alle diverse inquadrature. Un'opera come questa necessita così anche di cantanti sui generis, tutti parsi all' altezza della situazione e particolarmente impegnati a partire dallo scombussolato protagonista, al secolo Michael Spyres, e soprattutto con la svettante Jessica Pratt nei tratti di una capricciosa Cunegonda. Calorose accoglienze.

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