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Una coppia che crea emozioni

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Èviva ancora l'immagine di Pollini diciannovenne, vincitore, con tutti i 24 Studi dell'artista polacco, del Concorso Chopin di Varsavia: ed il tempo non ha scalfito la vertigine tecnica del suo panismo rafforzato anche dalla maturità ideologica. Egli ha suonato tutto, i classici, i romantici, i contemporanei con attitudine e preferenza: ma ieri Pollini era alle prese con uno dei Concerti per pianoforte di Mozart più completi e proporzionati, il K. 488, del 1786. Pappano lo dirigeva, dopo una frizzante, arguta Sinfonia da «La scala di seta» di Rossini e la «Sinfonia Concertante» di Haydn, colorata degli interventi dei quattro solisti, specie del violinista Carlo Maria Parazzoli. Ma il confine tra i due interpreti, Pappano e Pollini, invece di evidenziarsi, sfumava: l'uno proiettava la sua luce sull'altro, in un'intesa impensabile. Il fascino melodico dei temi mozartiani evocati da Pollini richiamava la ricchezza di colori dell'orchestra guidata da Pappano, i trilli lucidissimi del pianista si saldavano al nitore del fraseggio del direttore, in uno scambio continuo dei due, per la costruzione armonica del Concerto. Preziosa anche la cadenza del primo tempo, tutta scritta da Mozart contro la prassi allora diffusa di affidarla all'estro personale del solista, ed affrontata poi da Pollini col tocco puro dell'esecutore «mozartiano», venato all'improvviso dall'energia del pianista moderno. Un tocco che naturalmente culminava dell'Adagio dolcissimo, grazie anche all'operato dei legni - specie del clarinetto da poco acquisito da Mozart alla sua orchestrazione - e ai due temi portanti del movimento. Straripante la brillantezza del Finale nel virtuosismo strumentale e pianistico, vibrante ed inarrestabile in Pollini come un canto di vittoria tutta umana, tutta delle forze umane, senza inutili e gratuiti abbellimenti. Paola Pariset

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