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Roma città aperta. Anche troppo

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Per farne la capitale gli italiani nel 1870 la presero a cannonate I galli invasero Saxa Rubra quando ancora non c'era la Rai

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Siache arrivi come pellegrino in cerca di ristoro spirituale, sia che il ristoro voglia essere un po' più materiale: magari sotto forma di una bella «gricia» fumante. Ma a Roma qualcuno c'è arrivato anche con cattive intenzioni: a partire dai Galli, quelli di Brenno, e poi i Visigoti e pure i Vandali, tanto rumorosi e privi di senso civico che hanno trasmesso il loro nome, per secoli, a ogni tipo di teppista fino ai giorni nostri. Ma Roma ha saputo affrontare, accogliere e ammansire, far ragionare o infine cacciare a pedate tutti quelli che si sono presentati in armi alle sue porte. Non per niente gli «italiani» la Città Eterna se la sono dovuta conquistare a cannonate e poi con la carica dei bersaglieri (che erano i marines del 1870). Ma comunque il Pontefice l'hanno dovuto lasciare seduto dov'era. Ci racconta la storia di tutti quelli che si sono presentati sulle rive del Tevere per assediare, saccheggiare, conquistare la Città Eterna, Alessandro Cortese de Bosis nel libro: «Sono entrati a Roma - dai Galli di Brenno agli Americani di Clark», Pragmatica edizioni, 255 pagine, 18 euro. Per oltre due millenni Roma è stata meta di milizie provenienti dai quattro punti cardinali. E con questo saggio è la prima volta che questa importante parte della storia dell'Urbe viene focalizzata organicamente in un'ottica militare, ma soprattutto storica e umana. Si parte dalla caduta della capitale dell'Impero più grande e longevo del Mediterraneo fino al Medio Evo ed alla fabbricazione del falso documento costantiniano per legittimare il potere temporale del Papato. Il libro si apre con una bella mappa, non già dell'Urbe, ma proprio del bacino del Mediterraneo all'epoca di Giustiniano. Sul Mediterraneo campeggia la scritta: Mare Internum. A nord della penisola italiana i Franchi e i Burgundi, a est i Longobardi e le tante città delle terre d'Oriente. Dall'invasione francese alla Breccia di Porta Pia, dalla Wehrmacht agli americani del generale Clark, Roma ha saputo affrontare popoli e usanze diverse, assedi e violenze. L'agile volume di Pragmatica Edizioni non è solo una ricostruzione storica ma, nella parte che riguarda «Roma città aperta», è anche una preziosa testimonianza dell'autore che quei tempi ha vissuto e ben conosciuto. De Bosis, allora diciottenne, in un primo momento, tra le incertezze e le violenze del periodo, si rifugiò in Vaticano. Ma l'attesa non faceva per lui e presto si unì volontario tra le truppe di liberazione. Alessandro Cortese de Bosis, ambasciatore, nato proprio a Roma nel '26, è un uomo che la sua città e i popoli stranieri ben li conosce. Durante la guerra di Liberazione in Italia nel 1944-45 si è impegnato come ufficiale di collegamento con l'8a Armata britannica. È poi entrato a Roma nel servizio diplomatico nel 1954. Console Generale a New York, dove ha istituito la prima scuola italiana negli Stati Uniti, il liceo «Guglielmo Marconi», Cortese de Bosis è sempre stato in prima linea per la diffusione e la promozione della cultura italiana nel mondo. È stato vice consigliere diplomatico del presidente della Repubblica, Direttore generale delle Relazioni culturali al ministero degli Esteri e ha ricoperto molti altri importanti incarichi. Il suo «Sono entrati a Roma» parte il 18 luglio del 390 avanti Cristo quando, a Saxa Rubra, proprio dove oggi si trova la sede della Rai, un'orda di trentamila Galli calati dal Nord macellò i quindicimila romani che cercavano di difendere la città. Ci rivela de Bosis che, nonostante la leggenda delle oche del Campidoglio, gli invasori trovarono ben pochi ostacoli sul loro cammino. Di quei giorni l'autore ci racconta la leggenda e quella che, più probabilmente, è stata la realtà. Apprendiamo così che l'intervento militare di Furio Camillo fu un'invenzione e che Brenno, quello che disse: «Guai ai vinti», probabilmente se ne andò perché ebbe tutto l'oro che pretendeva. E con questo schema di rigore storico, ma anche di attenzione agli aneddoti e alle sacrosante leggende popolari, l'autore racconta dell'arrivo, nel 410, dei Visigoti di Alarico, facendo l'analisi del disfacimento della struttura della società romana, fino all'epoca di quelli definiti, con sottile umorismo, gli «imperatori precari». E poi i Longobardi, il sacco di Roma dei lanzichenecchi nel 1527 rimasto nella leggenda, fino ai giorni nostri, con l'occupazione tedesca e l'arrivo dei carri armati americani.

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