di MARIO BERNARDI GUARDI Si annuncia davvero come un evento "speciale" il Capodanno che sarà festeggiato all'Auditorium del "Ciocco" di Castelvecchio Pascoli (frazione di Barga, in Lucchesia).
Omeglio: Pascoli scrisse il libretto (che aveva alla base un suo testo poetico contenuto nella raccolta "Odi e inni") e a musicarlo fu un compositore spezzino, Carlo Alfredo Mussinelli, trentenne e cieco dall'età di tre anni. Ma abbiamo parlato di una riproposta: e infatti l'opera andò in scena il 14 agosto del 1901 al Teatro dei Differenti di Barga, tra gli applausi del numeroso pubblico presente. Ovvio che il Pascoli ci facesse un "pensierino": "vedrai, caro mio, vedrai, saliremo assai in alto", scrisse al musicista spezzino. In realtà, l'incanto si spezzò subito: approdato a Milano, il melodramma fu un fiasco e gli editori Ricordi e Sonzogno liquidarono ogni prospettiva futura con un "tranchant": "Riteniamo che di questa cosa non valga la pena di interessarsi". Ora, a 111 anni di distanza, e in apertura delle celebrazioni del centenario (il poeta si spense il 6 aprile del 1912 a Bologna), l'"interesse" per le opere e i giorni di Pascoli torna, e l'immagine, ai più sconosciuta, del "musicista" (Giovannino, tra l'altro, era amico di Puccini, ma tra i due non fu mai possibile una collaborazione artistica) suscita non poche curiosità. Se "Il sogno di Rosetta" (storia dei vagheggiamenti amorosi di una ragazza prossima alle nozze) si meriti il calore o il gelo degli spettatori, lo verificheremo il primo gennaio: in ogni caso, questo "aperitivo"- che, proposto a Capodanno, è anche un "brindisi" augurale- ci sembra un'idea azzeccata. Anche perché la "musica" è presente in gran parte della produzione poetica pascoliana: assonanze, onomatopee, "refrain" ecc. creano una trama di suggestioni sonore davvero originale. Ma di nuovo, addirittura 'rivoluzionario', in Pascoli non c'è solo questo. Si pensi alla precisione minuta con cui è rappresentata la quotidianità, che gli è così cara, ai "nomi" che puntualmente designano le "cose". Pascoli non è mai generico: si tratti di uno strumento di lavoro, di un utensile domestico, di una pianta, di un fiore, di un uccello ecc., il vocabolo è sempre pertinente. C'è poi da ricordare il gusto pascoliano per i vari tipi di metrica, colta o popolare, il suo uso dei dialettismi, l'utilizzazione che all'occorrenza fa di termini stranieri, sia riportati puntualmente sia "trasformati" dalla lingua popolare. Come avviene in "Italy", poemetto sull'emigrazione e sul ritorno alle radici, in Val di Serchio, di una famigliola contadina. Eccellente "sperimentatore", Pascoli dà vita, insomma, ai più svariati linguaggi musicali: ricordi, sentimenti, emozioni sono altrettanti suoni. Ma in questa nostra Italia che è tutta un fiorire di okay, di ibridi anglo-yankee e di cascami culturali di oltre oceano, va tributato ogni onore anche all'insigne filologo classico, al latinista, al grecista, al Pascoli "professore". E più che mai al provocatorio studioso e interprete di Dante: perché, tra il 1898 e il 1902, in anni di "ipse dixit" e "diktat" positivistici, Pascoli scrive tre opere- "Minerva oscura", "Sotto il velame" e "La mirabile visione"- che non solo recuperano il valore simbolico della "Divina Commedia", la figura di Dante come Fedele d'Amore, poeta "sapienziale" e alfiere dell'Impero, ma scavano in quel "linguaggio segreto" che aveva affascinato un esoterista come Gabriele Rossetti. Alla faccia di tutti i razionalisti… La sonda esplorativa, d'altra parte, non può trascurare il "lato oscuro" di Pascoli: quello che non a caso ha portato Umberto Sereni a intitolare "Dottor Jekyll e mister Hyde" il paragrafo di una sua ricognizione critica (Cfr. "Nella Valle del Bello e del Buono", in AA. VV. "Giovanni Pascoli in Val di Serchio", Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 2000). È come se in Pascoli, scrive Sereni, ripercorrendo alcune sequenze della sua biografia, "coabitassero due personalità separate e distinte: quella privata e quella pubblica. Umbratile, astiosa, irritabile, sospettosa la prima; liliale, benigna, dolce, caritatevole la seconda". Bè, il "privato" ha tratti davvero morbosi. Morbosa è l'affettività pascoliana, segnata per sempre dal misterioso assassinio del padre (10 agosto 1867: Giovannino, Zvanì nel dolcissimo romagnolo della poesia "La voce", aveva dodici anni) che sconvolge il "nido" degli affetti familiari. E il poeta lo ricompone sotto le sue ali. Protettive? Diremmo, piuttosto, oppressive: e anche senza andare a cercare afrori incestuosi nel legame tra Pascoli e le sorelle Ida (che poi si sposerà compiendo, ai suoi occhi, un vero e proprio "tradimento") e Maria (la Mariù che gli resterà sempre accanto), è indiscutibile che non siamo di fronte a un uomo "normale" ma ad un individuo tormentato e tormentoso. Giovannino non ha, non vuole avere nuovi affetti, ma preferisce chiudere in un nuovo nido impastato di miele e di veleno il sentimento di una perdita tragica. Tutto trasformando in un altare dei morti, che memoria e poesia debbono alimentare religiosamente. Chi si sottrae a questo dovere- che significa anche devozione assoluta nei confronti del "fratello- padre-custode"- compie un sacrilegio. Questa deriva malsana del sentimento familiare non spenge l'eros, anzi lo potenzia: cosa c'è di più erotico di quel "Gelsomino notturno" in cui il poeta, adulto ma ostinatamente "fanciullino", in una piena di profumi sensuali che la natura espande, "contempla", da lontano, la casa dell'amico Raffaele Briganti dove, in un gioco allusivo di luci che si accendono e si spengono, "si compie" la prima notte di nozze?