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di Lidia Lombardi Parecchi Comuni del Bel Paese hanno bandito i fuochi d'artificio.

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Maproviamo a proporre un'alternativa ai botti, altrettanto beneaugurante. Domani andiamo in cerca degli angeli. Portano davvero bene, non foss'altro perché ci proteggono. Ecco, se alziamo la testa incrociando l'azzurro del cielo, ne vedremo a bizzeffe nella Capitale. Con l'ala dispiegata o raccolta. Candidi di marmo o corruschi di oro. Paffuti puttini o slanciati corifei. Apparizioni misteriose e consolatorie. Tale è l' abbondondanza di celestiali presenze che Paolo Portoghesi, grande esegeta dell'architettura capitolina, nella riedizione della sua «Roma Barocca» definisce la caput mundi «civitas angelica». Non è solo questione di Papi e di baciapile. È che «angeli, arcangeli e cherubini» con quel loro svolazzare magico sono attori perfetti nella scenografia cittadina. Anzi, sono «lo strumento con cui la sacra teatralità della città barocca si impone all'occhio dell'osservatore». Concorda con Portoghesi lo studioso di cose capitoline Willy Pocino che ne racconta di retroscena angelici nel suo bel «Dizionario di curiosità romane». Partiamo dalla «fiera» di ali che è Castel Sant'Angelo. Ecco, in cima, San Michele. Fiero e benevolo, rinfodera la spada e fa la vedetta del Tevere, del Vaticano e dell'antica Roma, piazzato com'è sul Mausoleo di Adriano. Cavaradossi e Tosca rivolsero a lui l'ultimo sguardo. Ma insomma, perché sta lassù? Lo spiega una leggenda (o un miracolo). Nell'anno di Grazia 590 la peste soffocava la Città Eterna. Ci si affidò a una processione e papa Gregorio la guidava. Il gran corteo di prelati e di pitocchi seguiva l'immagine di Maria salus populi romani conservata in Santa Maria Maggiore (a proposito, la contornano, sull'altare della Cappella Paolina, due angioletti). Arrivati alla Mole Adriana, il pontefice ebbe una visione: in cima al castello l'arcangelo riponeva il brando. La fine dell'epidemia, interpretò sperando. Fu così. E da allora l'Adrianeo fu tout court Castel Sant'Angelo e in cima, nel XIII secolo, si sistemò la statua di San Michele. Non è quella che vediamo ora, la quinta issata lassù. Perché la prima fu distrutta da un assalto alla Mole, la seconda da un fulmine, la terza, in bronzo, venne fusa per ricavarne cannoni, la quarta, in marmo, venne ritenuta danneggiata da papa Benedetto XIV Lambertini, che nel 1752 la sostituì con un Arcangelo di bronzo. Lo guardano, da Ponte San'Angelo, una teoria di suoi simili in travertino, venuti a sostituire nel '500 apostoli ed evangelisti. Alle statue mise mano il Bernini. E le fece così belle che due di questi angioloni barocchi vennero spostati nella chiesa di S. Maria delle Fratte. Ora spostiamoci in altra locazione della «Tosca» pucciniana, la chiesa di S. Andrea della Valle. A chiudere lassù la facciata - come una quinta arabescata - c'è un angelo. Ma solo sul lato sinistro. Il motivo? Non piacque al papa Alessandro VII Chigi e tantomeno al popolino. Così il suo scultore, Giacomo Antonio Fancelli, evitò la replica a destra. Pasquino gli mise in bocca il motto: «Vorrei volare al pari di un uccello / ma qui fui posto a fare da puntello». Buon anno dagli angeli.

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