La crociata nel cuore d'Europa
Maquesto esito storico non è stato mai scontato: probabilmente qua e là sulle capitali europee svettano croci, invece di mezzelune, grazie a un pugno di polvere da sparo e alla determinazione di qualche oscuro militare. Ci spiega tutto benissimo un grande storico: Franco Cardini, con un saggio ampio, approfondito e complesso, ma meravigliosamente godibile: «Il Turco a Vienna. Storia del grande assedio del 1683», edito da Laterza. Le cose andarono più o meno così, in quella piovosa mattina del 12 settembre: i viennesi pativano da due mesi l'assedio delle fanterie e artiglierie dell'Impero ottomano che, da parecchie generazioni, si inerpicava ciclicamente lungo il Danubio a caccia di qualcosa da razziare. Ma mai, prima, si era spinto così a fondo nel cuore della cristianissima Europa. L'imperatore Leopoldo I aveva inviato sul monte Kahlenberg il frate Marco d'Aviano, già dal giorno prima, per essere informato sull'arrivo dei tanto attesi aiuti. Il religioso potè informare il suo sovrano, non senza emozione, che «l'armata è bellissima, tanto nell'infanteria e cavalleria: e stimo saranno 70mila uomini». Su un altro monte, ma forse è meglio chiamarle colline, arrivava in aiuto alla capitale dell'Impero il re di Polonia, Jan Sobieski, con le sue truppe. Di lì a poco ci sarebbe stato lo scontro decisivo tra ottomani e cristiani. Quella, ci dice Cardini, può essere chiamata, per quanto del termine si sia abusato: l'ultima crociata, l'ultimo grande scontro armato tra Cristianesimo e Islam. Il gran visir Kara Mustafa, capo dell'esercito assediante, giocò il tutto per tutto. E perse. Mentre gli eserciti nemici si chiudevano su di lui come le mascelle di una belva, tentò un ultimo disperato assalto alla città. Che non riuscì. In pratica il visir pensò di impadronirsi di Vienna e di affrontare dalle mura fortificate i suoi assalitori. Per questo sparpagliò lungo le mura gli uomini, quando il manuale di Sun Zu (e il semplice buon senso), avrebbe consigliato di riunirli. Non è che i cristianissimi europei avessero più testa sulle spalle: alla vigilia della battaglia si perdevano in furiose liti su chi dovesse marciare a destra di chi e chi prima e chi poi. Questioni di etichetta. Ma qualcuno pure pensò di andare a piazzare una buona batteria di cannoni nel punto giusto (per la cronaca un tal generale James Leslie). Era domenica, il giorno del Signore. La Messa fu officiata alle quattro del mattino. Poi si iniziò a combattere e si proseguì fino a sera quando, tra urla di gioia, le truppe liberatrici vittoriose entrarono trionfalmente a Vienna. Quello di Cardini è un saggio monumentale che analizza i momenti di quella battaglia andando indietro nel tempo fino allo scontro di Poitiers del 732. E poi si spinge nelle sue analisi avanti nel tempo fino a lambire i fuochi della Prima Guerra mondiale, che ha le sue radici proprio negli assetti determinati dalla battaglia di quel 12 settembre dell'anno del Signore 1683. Ma in questo saggio, che vola nello spazio e nel tempo, divertente da leggere quanto e più di un romanzo, soprattutto si analizzano le fasi del confronto tra due mondi: il Cristianesimo e l'Islam, un confronto che, secondo molti, è tuttora in corso. Cardini rifiuta le suggestioni popolari e le letture semplicistiche. Spiega: «Non è mancato chi ha posto sullo stesso piano eventi del tutto eterogenei tra loro per carattere, contesto e conseguenze quali la battaglia di Poitiers del 732, quella navale di Lepanto del 7 ottobre 1571 e quella campale sotto Vienna del 12 settembre 1683: inscrivendoli all'interno di un preteso, coerente e continuo "scontro di civiltà" tra Cristianità e Islam - o addirittura tra "Oriente" e "Occidente", in un immenso arco geostorico teso tra VI secolo a.C. e XXI d.C. - e promuovendoli a momenti nei quali la prima, costantemente assalita e assediata, si sarebbe eroicamente liberata della minaccia aggressiva costituita dal secondo. Si tratta di grottesche illazioni semierudite e paraideologiche: le quali nulla hanno di seriamente storico...». Franco Cardini, docente di Storia medievale, attentissimo analista dell'Oriente e dell'Occidente ci invita a studiarla la Storia, piuttosto che a interpretarla. E la Storia ci ricorda che in quella battaglia non si capiva bene chi stava dalla parte di chi. Estremamente illuminante la risposta che il Re Sole rifilò a papa Innocenzo XI che lo scongiurava di aiutare i fratelli cristiani di Vienna. Luigi XIV, che con la Santa Sede era in debito, scrisse che «egli non avrebbe intentato alcuna azione contro l'imperatore finché esso si fosse trovato in stato di guerra contro la Porta. Evenienza che, si faceva implicitamente notare, non si era ancora formalmente verificata». E poi, successivamente, con maggior decisione che «non era il caso di rinverdire l'era delle crociate». Insomma il Turco poteva pure mangiarsi Vienna in un boccone. Sull'altro fronte c'era lo shah di Persia che, non ne faceva mistero, gli ottomani proprio non li poteva soffrire. Insomma non c'erano due fronti e forse nemmeno tre. Come due fronti fissi e contrapposti non vi furono in altre epoche (basti pensare a quella di Federico II). Vi furono eserciti che si scontrarono, giochi politici, inganni, tranelli e una buona dose di fato. E Cardini sa raccontarci tutto.