Ulisse ha 90 anni e continua a vagare
Anchese ad "entrarci" il povero, diciamo così, "lettore della strada", ci prova: in fin dei conti si tratta di una delle opere "di culto" del Novecento e legioni di critici togati ne hanno sfidato i percorsi labirintici. Ragion per cui liquidarlo con un "non ci ho capito niente" non è molto chic. E poi il succitato lettore avverte un vago senso di colpa a definire il capolavoro di Joyce illeggibile o incomprensibile o inarrivabile (e, in fondo, questo è un complimento), visto che con "un altro" Joyce si è cimentato senza soverchi affanni. Parliamo di "Gente di Dublino", che molti hanno letto al liceo, su consiglio dell'insegnante di inglese. Arrivata all'"Ulisse", però, ecco che la prof si limita a celebrarlo come un'opera "cruciale" nella cultura del Novecento, senza entrare nel merito e limitandosi a qualche cenno sulla trama. Perché? Un sacro, reverenziale timore - c'è da scommetterci - nell'inoltrarsi in quell'impervia "Odissea" concentrata in ventiquattr'ore: il viaggio nella quotidianità di Dublino, con arrampicate in ogni possibile "immaginario", compiuto da Leopold Bloom, "ebreo errante" di strada in strada. Eppure...Eppure, a ben pensarci, in "Gente di Dublino" - pubblicato nel 1914 - c'è già l'annuncio di quell'"Ulisse" che esploderà con gran fragore nel febbraio del 1922, dopo una lunga gestazione. Queste le sequenze del parto letterario. Lo scrittore, insegnante di inglese alla Berlitz School di Trieste, dove conosce Italo Svevo, mette mano alla sua "Odissea" negli anni precedenti la Grande Guerra; alcuni capitoli appaiono sulla newyorkese "The Little Review" che però deve sospendere la pubblicazione a causa della reazione indignata di non pochi - e appunto molto scandalizzati - lettori; infine, nel '19, durante un nuovo soggiorno triestino, l'autore porta a termine la sua opera, pubblicandola tre anni dopo a Parigi, presso la Shakespeare and Company, su suggerimento dell'irsuto e incendiario Ezra Pound. Uno scandalo, si diceva. Il libro, urlano i censori, è un sordido groviglio di blasfemia e oscenità. In Inghilterra e negli Stati Uniti ne è vietata la pubblicazione. Vade retro, Satana Joyce. Retrogradi!, contrattaccano gli spericolati alfieri dell'avanguardia, non capite un accidente, qui siamo di fronte ad uno straordinario, audacissimo esperimento narrativo. E per vent'anni la Parigi del Gotha "genio e sregolatezza" - Aragon, Eluard, Beckett, Hemingway, Fitzgerald... - coccola Joyce e il suo "antiromanzo" (così lo definisce Thomas Eliot, autore, sempre nel '22, dell'"antipoema" 'La terra desolata'). Ma torniamo a "Gente di Dublino". Già in questo libro ogni storia contiene tante storie. Pubbliche e private. Individuali e universali. Un microcosmo - Dublino - che è tutti noi lungo le stagioni del viver nostro: infanzia, adolescenza, maturità. Tutto esistenzialmente esemplare, e viceversa, ivi compreso l'armamentario sentimentale, emozionale, passionale che è il nostro umanissimo corredo. Scialo di sogni e bisogni, incanti e disincanti, memorie ed oblii. Sperpero di pensieri sul "senso" della vita e il "mal di vivere", con la morte che fa l'occhiolino (sarà materia perfetta per un film, e infatti nel 1987 John Huston ne trae «The Dead», affidando il ruolo di protagonista alla figlia Angelica). Tutto questo nell'"Ulisse" si dilata. L'intento è l'assoluto: un romanzo "magnum opus" che contenga tutto il vissuto, il pensato e il pensabile, in un gran laboratorio dove l'Autore ha accolto, certo, i maestri inglesi del poema eroicomico in prosa (Fielding, Richardson, Sterne), ma anche i classici (l'Odissea di Omero, con Ulisse-Harold Bloom, Penelope-Molly, moglie infedele, Sthephen Dedalus- Telemaco: in questo caso, un giovane poeta idealista, in cui Bloom ritrova l'immagine del figlio perduto) e gli italiani (Dante, Giordano Bruno e Vico, letti in lingua originale). Ma l'assoluto ha bisogno di essere forgiato in un linguaggio nuovo: ed ecco il "flusso di coscienza", l'azzardo di una scrittura in cui al tempo della quotidianità, alla serie banale dei "fatti", si mescolano le più svariate associazioni di idee, sensazioni, creazioni della mente, immagini, ricordi, umori e malumori, in frantumata, disarticolata connessione. Signori, l'"Ulisse" è questa suprema "astuzia" del caleidoscopico intelletto. Se vi si crede, vi si cede.