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di Franco Cardini La dies natalis era nell'antichità romana, per definizione, dies fausta, dies albo signanda lapillo.

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Ciònon vale però nei confronti di Dio immortale: nel Suo caso, si festeggia il giorno nel quale egli ha compiuto perfettamente l'Incarnazione avviata nove mesi prima, nascendo tra gli uomini. Ma quando va situato, con precisione, il giorno della nascita di Gesù di Nazareth? Non vi sono certezze storiche al riguardo. Quanto all'anno, oggi appare chiaro come si sia equivocato quando nel V-VI secolo si tentò di stabilire la data esatta della nascita del Salvatore: basandosi su quanto ci resta di relativo all'antico editto di Augusto che ordinava il censimento e alla successiva morte di Erode III, si direbbe che il Salvatore sia nato non nel 753 dell'anno ab Urbe condita, come calcolato dal monaco siriaco romano Dioniso "il Minore", bensì 6-7 anni prima, nel 746-747. Quanto al periodo di nascita, a giudicare dal racconto evangelico l'evento dovette situarsi in un imprecisabile giorno tra la primavera e l'autunno, dal momento che vi si parla della presenza di pastori. Betlemme, al pari di Gerusalemme, è situata a più di settecento metri di altitudine sul livello del mare: e le regole della transumanza pastorale stabilivano che i pastori durante i mesi più freddi scendessero verso il mare e passassero invece i mesi più caldi in collina. Che cosa intervenne per snaturare tanto la data che la tradizione avrebbe venerato come sacra e sostituire quella autentica con un'altra, fittizia? Quel che colpisce quest'ultima è la sua situazione solstiziale. Non stupisce che - nell'intento di radicare la nuova religione collegandola alle antiche tradizioni in modo da rendere più facile il passaggio da queste a quella da parte di vere e proprie multitudini - nel paese nel quale il cristianesimo si radicò per primo con grande forza popolare, l'Egitto, la nascita del Cristo sia stata fatta coincidere col Dio-Bambino figlio della Madre-Regina dell'antico sistema mitico-religioso, Horus. Il 6 gennaio si celebrava ogni anno con grande pompa la festa isiaca delle acque del Nilo: la liturgia cristiana volle porre in quel medesimo giorno la festa della Nascita e della "Manifestazione divina" (Epifania) del Cristo, ponendola nel segno dell'acqua consacrata. In tale giorno, difatti, si celebravano insieme - e nella liturgia cristiana si continua a farlo - la festa del battesimo di Gesù nel Giordano e la ricorrenza del miracolo di Canaan, nel quale l'acqua (la natura umana) si mutò in vino. Ma se in Oriente, e soprattutto in Egitto, la fede prevalente era quella isiaca, a Roma la grande festa popolare coincideva con una solennità imperiale e in un certo senso già monoteista, il solstizio d'inverno, sacro a una divinità appunto solare considerata la compagna protettrice del potere imperiale: il Sol comes invictus. Il Dio Sole Helios, identificato con il greco Apollo ma anche con molte divinità solari che provenivano dall'Oriente tra le quali nel II-III secolo aveva acquistato sempre maggior importanza l'indoiranico Mithra, era adorato e popolarissimo in Roma: trattandosi di una divinità eroica, regale e militare, molti imperatori si erano identificati con lui indossando anche la "corona radiale" che lo caratterizzava. Durante il III secolo, per fronteggiare il diffondersi del monoteismo cristiano, i sovrani avevano incoraggiato un monoteismo solare-imperiale. Al Sol Comes Invictus si dedicava anche una festa che durava alcuni giorni coincidenti con quelli del solstizio invernale, cioè del momento nel quale il sole, nell'emisfero boreale, riprende il suo corso ascendente e le giornate ricominciano ad allungarsi. Si fissò la dies natalis del Sole Invitto al 25 dicembre, giorno culminante delle feste solstiziali. Nel 274 l'imperatore Aureliano, adepto del culto solare, dedicò alla divinità un tempio posto nel centro dell'Urbe (dove ora sorge la chiesa di san Silvestro, edificata sulle sue fondamenta) e ne fece il centro di un culto pubblico statale. Ma da quando il cristianesimo, alla fine del IV secolo, divenne religione di stato, non fu difficile trasformare la giovane, trionfale, bella divinità solare pagana nel Cristo Sol Iustitiae. Le celebrazioni natalizie fissate al 25 dicembre continuarono: e nacque così, allora, il Natale cristiano. Quando nel Natale dell'800 il re dei Franchi, alleato di papa Leone III, venne a Roma per visitare il suo amico vescovo dell'Urbe, non fu a questi difficile - ma pare che egli fosse colto di sorpresa: e non ne fosse per nulla soddisfatto - approfittare di quella festa per cingere il sovrano barbarico di una corona "imperiale" dal valore peraltro piuttosto ambiguo. Si voleva far rinascere l'impero romano? Ma esso non era mai morto: a Bisanzio sedeva in trono il basileus (per quanto in quel momento fosse la basilissa Irene), sovrano dell'impero romano d'Oriente ch'era a tutti gli effetti l'impero romano. In Occidente non v'era più un imperatore da oltre trecento anni, né se ne avvertiva la mancanza. E da quando, poi, la corona imperiale poteva venir imposta sulla fronte del sovrano dal vescovo di Roma, che la gente chiamava col nomignolo d'origine siriaca "papa", "paparino", "babbino"? D'altro canto non poteva sfuggire a nessuno l'intenso significato della scelta di quel rito e di quel giorno: nato al potere nello stesso giorno del Cristo, l'imperatore (o comunque il "reggente dell'impero") delle genti occidentali che guardavano al vescovo di Roma come al capo della loro Chiesa era anche alter Christus. Non si può dire che allora rinascesse l'impero romano d'Occidente, quello voluto da Teodosio e spentosi nel 476. Si trattava di un'istituzione nuova, che venne ripresa e rinnovata più tardi dal re di Germania (cioè dei "franchi d'Oriente") Ottone I di Sassonia. Ma da allora, e con un preciso valore cristico, in Occidente il 25 dicembre divenne il giorno più di ogni altro propizio alle incoronazioni imperiali e poi regali: e i re erano infatti a tutti gli effetti "Cristi del Signore", vale a dire "unti" (secondo l'antico rituale della consacrazione dei re d'Israele) per volontà divina, come era accaduto nella Bibbia a Saul e David, unti da Samuele. Da allora, le incoronazioni nel giorno di Natale si susseguirono. Tra le principali, quella di Boleslao I a re di Polonia nel 1024, subito dopo la conversione del popolo polacco; di Guglielmo duca di Normandia a re d'Inghilterra nel 1066, con la quale l'isola passava alla disciplina liturgica e canonica romana mentre il sovrano si dichiarava vassallo del papa, che gli aveva concesso la nuova corona; di Ruggero II d'Altavilla a Palermo nel 1130, titolare di un'altra corona creata dal papato e di esso vassalla (anche se Ruggero dette molto filo da torcere al suo dominus feudale). Per i re di Francia, secondo la tradizione che nel paese si faceva risalire a Carlomagno, il 25 dicembre divenne la data canonica delle incoronazioni, e "Noël! Noël!" era l'acclamazione augurale con la quale il popolo salutava il nuovo sovrano. Napoleone, accingendosi a farsi incoronare dal papa "imperatore dei francesi", fu tentato di rinnovare quella tradizione, riallacciandosi così alla tradizione sacrale dei re di Francia: ma non osò tanto, limitandosi a scegliere un giorno dell'inizio di dicembre. Tanto forte è, nello stesso papato, la convinzione che il Natale segni una data nella quale autorità divina e autorità temporale s'incontrano, che i papi l'hanno scelto più volte come giorno adatto a servir da scenario ad atti fondamentali nel governo spirituale e temporale della chiesa: nel 1775 papa Clemente XIV pubblicò in tale giorno l'enciclica Inscrutabile divinae sapientiae sulla cura per la scelta dei nuovi preti e sulle condizioni del mondo moderno nonché sulla cura episcopale; e nel Natale 2005 Benedetto XVI pubblicò quella Deus Caritas est. Il Natale ebbe e conserva un grande valore anche come giorno di scelte importanti e di simboliche pacificazioni. Nel Natale del 1776 il generale George Washington passò il fiume Delaware, compiendo un gesto fondamentale nell'àmbito della Rivoluzione americana; in quello del 1868 il presidente Johnson concesse la grazia a tutti gli ex combattenti dell'esercito confederato, ponendo così fine formale e sostanziale alla guerra di secessione; e alla mezzanotte del Natale 1914, sul fronte franco-tedesco, i due eserciti contrapposti cessarono simbolicamente di sparare, passarono le rispettive trincee, si abbracciarono e si scambiarono quei doni che, appunto in quanto originariamente e simbolicamente destinati ai sovrani, si chiamano nelle lingue neolatine "regali". Tenetelo presente: con l'augurio, che tutti noi rivolgiamo a ciascuno di noi, di ricevere quest'anno a Natale dei regali davvero "regali".

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