I marmi raccontano passioni e potere della Città Eterna
L.Borges. Ancora: il latino è la lingua del marmo. Dal "sempre" della romanità ci parlano con muta eloquenza i "Volti svelati" in esposizione alla Galleria degli Uffizi (Sala delle Reali Poste, fino al 29 gennaio). Quarantaquattro busti di marmo - imperatori, atleti, privati, intellettuali -, appartenenti alle collezioni medicee e lorenesi, spuntano, come splendidi fiori sotterranei, dai depositi del Museo, illuminando squarci di storia, dalla tarda età repubblicana all'avvento della Tetrarchia (l'organizzazione dell'impero romano, voluta da Diocleziano nel terzo secolo dopo Cristo). Chi abbia anche una minima conoscenza della statuaria classica, sa che il linguaggio del marmo è tutt'altro che freddo: questi algidi bagliori, affidati all'armonia delle proporzioni, plasmano le forme di una civiltà, restituendo un tempo dello spirito che suscita ininterrotta ammirazione, e così l'apparente "fissità" di un volto consegnato ai posteri, che lo ritrovano e lo "svelano", è una trama di emozioni da riscoprire, un carattere che riaffiora, una storia personale su cui far luce. Promossa e voluta dagli Amici degli Uffizi (l'Associazione nata nel 1993 - all'indomani del terribile attentato che danneggiò gravemente parte dell'architettura ed alcune opere della Galleria degli Uffizi - per sostenere le politiche culturali del Museo), essa costituisce l'undicesimo appuntamento del ciclo "I mai visti", impegnato a restituire visibilità ad opere poco note o addirittura del tutto sconosciute. Come quattro busti di inedito splendore, databili tra la fine del I secolo a. C. e gli inizi nel II secolo d. C. e raffiguranti un ritratto virile, un senatore romano, una testa di ignoto e un ritratto di giovane uomo, cosiddetto Helagabalus, che sono stati "scoperti" durante l'allestimento della Mostra. Come ha infatti spiegato Fabrizio Paolucci - che agli Uffizi dirige il Dipartimento di Antichità Classica e che, insieme a Valentina Conticelli, direttrice del Dipartimento per l'Arte del Settecento, ha curato l'evento - "le quattro opere erano state inventariate ma non catalogate, cioè non pubblicate e non fotografate, quindi ignote sia agli studiosi specialistici sia agli autori di divulgazione". Ora possiamo contemplarle, mirabilmente "parlanti", al pari di "Domizia", del "Ritratto di anziano 'Velato Capite', del "Ritratto di Antinoo come 'Genius Frugiferus"… Ma il percorso nella storia e nella cultura di Roma, che ci viene proposto dai 44 busti, è ulteriormente ampliato da 23 opere (fra dipinti e grafica), ispirati all'età classica, che ci mostrano quanto, tra il XVI e il XVIII secolo, fossero vivi l'interesse e la venerazione per la romanità. Ricordiamo che - dopo il "precedente" di Lorenzo il Magnifico che nel 1471, al ritorno da Roma, portò con sé due teste in marmo antico delle immagini di Augusto e di Agrippa, acquistate nell'Urbe - , sin dalla fine del XVI secolo, i corridoi del secondo piano degli Uffizi furono destinati ad ospitare i marmi medicei, una collezione che per numero e qualità era unica in Europa, al punto che il celebre complesso vasariano poteva fregiarsi della qualifica di 'Galleria delle Statue' per eccellenza. Nei secoli successivi, il nucleo collezionistico ebbe modo di accrescersi e quando, nel 1780, l'abate Luigi Lanzi ebbe il compito di redigere un rapporto sulle direttive da seguire nel nuovo allestimento del Museo, lo studioso marchigiano non esitò a definire la collezione dei ritratti come "uno degli ornamenti più magnifici del Museo", seconda nel suo genere unicamente alla raccolta capitolina.