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La nuova Ute Lemper «Il tango di Piazzolla è la mia ribellione»

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Lavoce di Ute Lemper sembra cantare anche quando parla al telefono dalla sua casa di New York. Alla vigilia del concerto romano in programma domani all'Auditorium di Roma. Tra esistenzialismo e bambini di Buenos Aires, una serata speciale nell'unica data italiana di quest'anno. Ute Lemper, cosa prova a reinterpretare il repertorio di Astor Piazzolla? In un primo momento ero molto impaurita. Avevo quasi un timore reverenziale a toccarlo. È un repertorio profondamente legato alla realtà dell'Argentina e ho dovuto entrare in quel mondo, approfondire quel linguaggio. La cosa più sorprendente è che il tango sia ancora così vivo. Sempre di più. Qual è la magia del tango? Quando si parla di Piazzolla, il segreto era nel suo essere ribelle. Prima di lui il tango è sempre stato una musica dolce. Lui ha sovvertito le regole e ha inserito l'improvvisazione come uno degli elementi determinanti. La sua ribellione si è tradotta anche nella mescolanza dei generi. Piazzolla ha vissuto a New York e ha riversato in musica anche tutto quello che sentiva per le strade della Grande Mela. Per questo molti tradizionalisti storcevano il naso. Poi si sono ricreduti tutti. Nella scaletta del concerto romano ci sono le canzoni più celebri di Piazzolla ma anche quelle meno note. Qual è stato il criterio di scelta? Abbiamo cercato di conciliare popolarità e ricerca per dare un quadro più ampio. Tra le mie canzoni preferite ci sono «Balada para mi Muerte», «Che tango che», «Balada para un loco», «Muralla de China» e «La ultima grela». Durante il concerto lei canterà anche brani di Edith Piaf e Jacques Brel. Perché ha deciso di allargare ulteriormente il repertorio? Perché non ho resistito alla tentazione di riarrangiare quelle canzoni con gli strumenti usati dal Quintetto Piazzolla: bandoneon, violino e giambé. Insomma io e i musicisti ci siamo incontrati nel mezzo. A metà strada tra i suoni europei e quelli argentini. Di cosa parlano i testi delle canzoni? Parlano di filosofia e di esistenzialismo, di decadenza e contrasti sociali, della notte e dei bambini che giocano per le strade di Buenos Aires. Parlano della realtà della vita vista attraverso continue metafore. E per me è come una droga. Non mi stanco mai di cantarli. In alcuni casi lei ha addirittura adattato i testi, traducendoli dallo spagnolo. Quali difficoltà ha incontrato? Ho cercato di superare il tabù degli adattamenti. Così ho tradotto i testi in francese, inglese e tedesco. In molti casi non è stato semplice tradurre le meravigliose liriche di Horacio Ferrer, così strettamente legate alla vita quotidiana di Buenos Aires. In quei casi ho trasferito le metafore nelle realtà che conosco meglio, come quella di Berlino o di New York. Lei ci è mai stata a Buenos Aires? Ci sono stata sia per diletto che per concerti. E ho un bellissimo ricordo dell'Argentina. È il pubblico più caloroso del mondo. Dopo quello italiano, naturalmente. Qual è l'eredità lasciata da Piazzolla alla musica? È riuscito a rendere il tango una musica del mondo, anche attraverso collaborazioni con musicisti di formazione classica. È stato protagonista di una vera e propria rinascita, soprattutto tra i giovani e soprattutto fuori dall'Argentina. È un vero e proprio miracolo che ha fatto prendere al tango una direzione diversa. Migliore.

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