Il «Furor di popolo» che linciò Donato Caretta
Sitratta di un documento prezioso per comprendere il clima del tempo. Emergono così i profili degli imputati nel processo, Pietro Caruso e il suo collaboratore, Roberto Occhetto, la connivenza con le forze germaniche di Pietro Koch e della sua efferata banda, l'ignavia colpevole del ministro Guido Buffarini Guidi. Infine il martirio del direttore di Regina Coeli Donato Carretta, uomo probo, straziato dalla reazione della piazza che, nel tentativo di linciare il questore finì per ucciderne il principale teste dell'accusa. Chi era Carretta? «La sua figura (…) è apparsa quella di un capace funzionario, onestissimo e umano, il quale nel periodo della dominazione nazista collaborò, prodigandosi con rischio gravissimo personale e della famiglia, col Comitato di Liberazione». Antonina Ficotti, che aveva appena perso il marito alle Fosse Ardeatine, scambiò Carretta per il fucilatore del consorte e scatenò la furia cieca dei presenti all'udienza del processo contro Caruso. Il direttore del penitenziario fu prima protetto dalle forze dell'ordine, poi condotto in un corridoio esterno all'aula di giustizia e linciato dalla folla. Gli aggressori lo volevano far investire da un tram, ma l'autista, Angelo Salvatori, si oppose alla «massa incandescente»: mostrò la sua tessera del Pci, bloccò i freni del mezzo e nascose la manovella che avrebbe potuto azionarne la corsa. Carretta allora fu lanciato nel Tevere dal Ponte Umberto e percosso a lungo con un remo da due uomini su una barca che lo raggiunsero e lo finirono. Il corpo senza vita fu appeso a testa in giù all'ingresso del carcere romano. Il "furore del popolo" quando crolla un sistema politico ripete sempre gli stessi barbari riti: a Regina Coeli per Carretta; a Piazzale Loreto con Mussolini e Claretta; solo qualche mese fa in una polverosa strada in Libia, sul cadavere di Gheddafi.