di Lidia Lombardi Ipnotizzati da Fontana di Trevi.
Cosìnon ci accorgiamo di tutto il resto intorno. Eppure, ce ne sono di meraviglie. E di storie, minime e massime, che raccontano Roma. Cominciamo con il leit motiv, la parola trivio. Confluenza di tre strade, appunto. Ma anche, per i dotti, le tre arti liberali: drammatica, retorica, dialettica. Dunque, proprio in faccia a Fontana di Trevi c'è un'ambiziosa chiesa barocca (sempre aperta, ancorché non sempre visitata) che in origine, ovvero nel medioevo - X secolo - si chiamava Sant'Anastasio de Trivio. Poi spostiamo lo sguardo qualche metro avanti. E nell'angolo che segna il trivio tra piazza di Trevi, via del Lavatore e via della Stamperia, ecco un'edicola religiosa da restare senza fiato. Due angeloni rococò si librano agili (non si sa come fanno da secoli a stare attaccati lì, sul costone di un palazzo) e sostengono un ovale cinto da raggi dove s'annida, minuscola, l'effigie della Madonna. Bella benedizione per i bambini che trotterellano ogni mattina verso la loro scuola, la «Settembrini», che li accoglie con un fantasioso portale barocco. Ma torniamo al trivio. Se Sant'Anastasio ha poi nella denominazione abolito la parola e ora è solo «Ss. Vincenzo e Anastasio», accanto a Fontana di Trevi la piccola piazza dei Crociferi esibisce Santa Maria in Trivio, una chiesa curiosa nel suo manierismo. Piccola, compatta, sembra un fondale di teatro con il gioco di lesene, finestre, cornici. Antica, antichissima, come testimonia un'iscrizione sul muro esterno, sotto il campaniletto. È del XII secolo, informa che il tempio fu fondato dal generale di Giustiniano, Belisario, quello che nel 537 liberò l'Italia dai Goti. E dice che il militare volle la chiesa ad espiazione dei suoi peccati, forse quello di aver esiliato papa Silverio. C'era vicino un ospedale per ammalati e pellegrini, dunque il primo nome fu quello di Santa Maria in Xenodochio. Andò nei secoli in mano all'ordine dei Crociferi, dei Camilliani, ora la tiene la Congregazione dei Missionari del Santissimo Sangue. Dentro, il soffitto affrescato con storie di Maria è un trionfo di pittura secentesca. E una cappella conserva le spoglie del fondatore del «Santissimo Sangue», il romano Gaspare Del Bufalo. Un combattente per la Fede del Settecento, figlio di un cuoco di Casa Altieri, abituato a inerpicarsi tra le montagne del Lazio per ricondurre sulla retta via i briganti. E fiero nel non sottoscrivere la fedeltà a Napoleone, quando cacciò da Roma Papa Pio VII. «Non debbo, non posso, non voglio» sancì. E divenne santo. Squarci di romanità nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio. Nomignoli a iosa. «Parrocchia pontificia» in quanto ai piedi del Palazzo del Quirinale, reggia del Santo Padre. Per Gioachino Belli, «er museo de corate e de ciorcelli» perché in apposite teche vi si conservavano i precordi dei papi asportati durante l'imbalsamazione. Infine «er canneto», per la selva di colonne che Martino Longhi il Giovane usò nella facciata. Ironici quiriti.