Amo il cinema italiano che racconta la verità
Grandeappassionato di cinema italiano, novanta anni domani, decano dei critici, ma anche promotore e organizzatore di eventi, presidente del David di Donatello è al tempo stesso memoria critica e «conservatore» del nostro cinema. Accusato in epoche lontane dai comunisti di non essere comunista (a Botteghe Oscure sarebbe piaciuto) oggi è amato da tutti e mantiene da sempre posizioni misurate, ma anche appassionate. «Il cinema italiano racconta di noi - aggiunge Rondi - la cosa più bella è il nostro cinema civile, ma anche Sordi, la commedia, i cinepanettoni sono espressioni valide». Presidente Gian Luigi Rondi, quali sono stati gli autori più significativi? «Quelli del nostro cinema civile: Rosi, Damiani, Risi, quando non ha fatto commedie, ma poi anche con quelle e insieme a Comencini e a tanti altri che hanno permesso ad attori come Sordi e Manfredi di creare personaggi di cittadini che ci hanno raccontato quello che eravamo e quello che stavamo diventando. Storie di italiani a mal partito che criticano, ma che mostrano anche la difficoltà delle nostre situazioni, con il dramma e la commedia». Situazioni difficili, come quella attuale. «Un momento veramente difficile, come ha detto il presidente Napolitano». Non ha nominato Rossellini e De Sica. «Era un altro periodo, nell'immediato Dopoguerra, quando sono state fondate le basi del nostro cinema come ricerca della verità. Ricordo, nel '46, a Cannes a Les Ambassadeur si proiettava "Roma città aperta". Rossellini mi disse: non dobbiamo metterci la corona dei poeti, ma raccontare con chiarezza la nostra realtà. E non dobbiamo metterci la cravattina e ignorare i nostri cenci. Con De Sica era un'altra storia: è riuscito ad anticipare il cinema civile, con "Sciuscià" e "Ladri di biciclette", con immagini accurate, poetiche, grazie a Zavattini. Ma lei mi sta facendo fare una lezione di storia del cinema». Veste sempre di nero? «Quando sono stato direttore della Mostra di Venezia, nel '71 e '72, persi mio padre e così mi misi a lutto. Da allora divenne per me una specie di uniforme, quella che comunque si adattava meglio al mio modo di essere riservato. Poi ho pensato di mettere una sciarpa bianca per ricordare il bianco e nero del cinema. Certo, a volte indosso la divisa colorata del Sovrano Militare Ordine di Malta, ma questo caso è diverso, si tratta di uniformi». Qualcosa che detesta? «Il chiasso, la presunzione e l'arrivismo». Un regista che ama particolarmente? «Federico Fellini. Lui è quello che ha inventato un nuovo modo di fare cinema anche se nella sua opera ci sono delle lacune. Una cosa che scrissi, ai tempi, il che non piacque a Fellini». Il film preferito? «La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani». Progetti per il futuro? «Il premio David di Donatello è uno dei cardini del mio culto per il cinema italiano. Grazie a Gaetano Blandini sono presidente a vita del David e dei Premi De Sica: sono un bell'impegno. Sono poi commissario straordinario Siae. In primavera ci sarà il nuovo Statuto e scadrà il mio mandato. E scade anche quello da presidente del Festival di Roma... Vedremo». Ma i film italiani sono proprio tutti belli? «Ci sono autori falsi che fanno film brutti. Comunque rispetto le idee di tutti».