Adriano Celentano Il dinosauro del rock
Diquel 18 maggio del '57 quando a Milano, al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi, andò in scena il primo festival rock della storia d'Italia. Adriano Celentano aveva solo 19 anni. I suoi Rock Boys compivano i primi passi su quello che sarebbe diventato il loro trampolino di lancio. In piedi uno accanto all'altro due giovanissimi: Adriano Celentano e Enzo Jannacci. In scaletta non c'era ancora quella «Ciao ti dirò» che avrebbe fatto epoca, ma di lì a poco a quei due si sarebbero aggiunti anche Giorgio Gaber alla chitarra e Luigi Tenco al sax in un supergruppo che, solo a pensarci, fa venire i brividi. E quello era solo l'inizio. Da allora musica, cinema e televisione per un personaggio che, ancora oggi, continua a dettare legge all'alba dei 74 anni «suonati». Nei prossimi giorni l'Auditorium di Roma gli dedicherà un omaggio in jazz al quale parteciperanno alcuni tra i nomi più illustri del panorama italiano: Peppe Servillo, Javier Girotto, Fabrizio Bosso, Rita Marcotulli, Furio Di Castri e Mattia Barbieri. Il Molleggiato è sempre stato a cavallo tra la realtà e la finzione e perfino la sua fortunata imitazione di Jerry Lewis lo ha fatto diventare una macchietta. Per questo non stupisce che l'anno prossimo sugli schermi di Sky andrà in onda un vero e proprio cartoon in cui il protagonista è la versione animata del nostro Adriano nazionale. Il passaggio al supereroe è lì a un passo, anzi è stato già compiuto. D'altronde chi altri, a 74 anni, è ancora in grado di chiamare a raccolta il meglio della musica italiana come fa lui nell'ultimo album «Facciamo finta che sia vero»? E di rimanere sulla cresta dell'onda ininterrottamente per oltre cinquant'anni? In tutto questo la carriera sul grande schermo è andata alla grande. Dagli «Urlatori alla sbarra» di Lucio Fulci al «Serafino» di Pietro Germi, dal coraggioso musical «Yuppi Du» del '75 al profetico «Joan Lui. Ma un giorno nel Paese arrivo io di lunedì». Forse eccessivo, forse esagerato, sicuramente pretenzioso. In ogni caso ha fatto parlare di sé. Sempre. Come quando, negli anni '80, ha deciso di sfidare anche il piccolo schermo. Lui che alle telecamere aveva già dato le spalle sul palco di Sanremo. E allora si capisce perché hanno fatto sempre tanto discutere le sue apparizioni in tv come conduttore. Dallo storico «Fantastico 8» del 1987, con i lunghi silenzi e le denunce in tribunale, all'ultimo «Rockpolitik», forse una sorta di testamento televisivo ante litteram con l'ormai celeberrima distinzione tra ciò che è rock e ciò che è lento. Il primo amore, però, non si scorda mai. E la vita di Celentano resta scolpita nelle melodie che hanno accompagnato l'Italia nell'ultimo mezzo secolo di vita. «24 mila baci», «Si è spento il sole», l'inno ambientalista «Il ragazzo della via Gluck». E ancora «Azzurro» scritta per lui da Paolo Conte, «Una carezza in un pugno» fino all'improbabile linguaggio archeo-rap di «Prisencolinensinainciusol». Fino alle canzoni d'amore degli anni Ottanta, con il famigerato duetto con Mina in «Acqua e sale» o «L'emozione non ha voce». Lo chiamano in tv. Lo invitano negli spettacoli più disparati. Ma lui sa bene dove andare, e soprattutto quando farsi vedere. Come quando, qualche anno fa, rifiutò l'invito degli organizzatori della festa del Primo Maggio a Roma. Sarebbe bastato anche solo un collegamento video in differita. Ma si sa, i supereroi non sono sempre raggiungibili. Arrivano quando dicono loro. E neppure il compleanno del rock è bastato a smuoverlo dalla sua lussuosa torre d'avorio. Il suo di compleanno cadrà il 6 gennaio. Come la Befana. Non c'è dubbio che il legame con la terra e le radici sia sempre forte. Ed è anche per questo, forse, che alla fine torna sempre a dire: «Quando il successo finirà, sarò triste solo per un quarto d'ora. Poi troverò un'altra cosa che mi diverta. Da grande lo so, farò l'orologiaio». Tuttora il Molleggiato si diletta con gli orologi nel tempo libero. Come quando cominciò, giovanissimo, nelle strade di Milano.