La meglio gioventù d'Italia con il coraggio rivoluzionario
GiorgiaMeloni esce allo scoperto. Il suo «Noi crediamo. Viaggio nella meglio gioventù d'Italia» (Sperling & kupfer, pagg. 196, euro 16,50) diventa allora un vero e proprio manifesto politico, un «libro bilancio» - come lei stessa ama definirlo - in grado di tirare le somme di quell'«avventura vissuta insieme ad altri» che definisce il suo impegno per la «comunità». «Quando ho bussato alla porta del Fronte della gioventù Garbatella sotto casa, a quindici anni, ed è venuto ad aprirmi Andrea, che sarebbe diventato uno dei grandi amici della mia vita, non avrei mai pensato che vent'anni dopo mi sarei ritrovata a scrivere un libro da ministro della Repubblica. Ero scioccata per quanto accaduto al giudice Paolo Borsellino, avevo bisogno di condividere la mia rabbia e di trovare conforto in chi la pensava come me. Cercavo gente pulita, fuori dai compromessi della bassa politica. Tutto qui», scrive. Parla di «rabbia» Giorgia Meloni. E gli indignados? I giovani di tutto il mondo che occupano le piazze e protestano contro le banche? «L'indignazione è un'altra cosa - risponde sicura - Indignarsi non basta. Significa prendersela con qualcun altro. Il coraggio è la vera rivoluzione. Essere ribelli vuol dire costruire, non distruggere». Ecco allora che Giorgia parla di partecipazione laddove cresce il disimpegno, di «energia visionaria» in un momento in cui i giovani tendono all'apatia, di politica quando il il rischio più grande è il qualunquismo. «È il riassunto di tutte le mie battaglie. Questo mio libro vuole essere un grande inno alla politica, alla partecipazione. La scelta della politica è la scelta del coraggio, dell'amore. Significa scegliere di metterci la faccia, rischiando di prendersi gli insulti o - peggio - di fallire. È facile mettersi un cappuccio in testa e spaccare una vetrina. Il qualunquismo è facile. Ed è pericoloso. La politica invece è la più straordinaria forma di impegno civile, ed è cosa diversa dai politici. E gli italiani che non lo capiscono rappresentano un problema e non la soluzione della nostra democrazia». L'ex ministro della Gioventù allora decide di accendere i riflettori sui giovani. Perché su di loro ci sono troppi «stereotipi ingiusti», perché «è sbagliato far pagare il conto di spese folli permesse in passato a questa generazione», perché non è possibile «che se ne parli solo per dire che sono incapaci». Ecco allora le storie di dodici «piccoli» eroi. Ragazzi e ragazze che hanno sfidato se stessi, la terra d'origine, il mondo, le idee preconcette, gli ostacoli. E hanno vinto. Alcuni sono famosi, altri non lo sono affatto. Né intendono diventarlo. Non si arrendono, combattono. Tutto qui. Tra di loro, ad esempio c'è Marco, con il suo «coraggio che tutti intorno a lui hanno bollato come incoscienza». «A ventisette anni, con un lavoro precario, ha sposato la sua fidanzata, Claudia, anche lei in cerca di occupazione. E ora aspettano, felicissimi, il loro primo figlio. Non hanno ascoltato nessuno. Non gli amici ma nemmeno i genitori che li scongiuravano di avere almeno uno stipendio sicuro su due». Tra le storie raccontate da Giorgia, ci sono poi quelle di tre sportivi di successo: la campionessa di nuoto Federica Pellegrini, il rugbista Mirco Bergamasco, il judoka Pino Maddaloni. «Credo che lo sport sia la prima cosa in grado di sviluppare un concetto di appartenenza, di popolo. Giochi o tifi per una squadra sin dal liceo. Non c'è più l'io, ma il noi. E poi ha dei straordinari poteri formativi». Ma non c'è solo questo nel racconto delle loro avventure. Già, perché dalla storia di Federica impari «che anche i campioni possono essere fragili. E devono combattere. Anche lei è fatta di acqua e acciaio». Poi c'è Mirco. «Il rugby è lotta. e trovo che sia una splendida metafora della vita e della politica», ammette l'ex ministro. Attraverso Marco, Federica e tutti gli altri la Meloni racconta la sua visione del mondo. Fatta di scelte, di idee cui rimanere fedeli, di lotta e partecipazione. E in cui i giovani sono protagonisti. Non perché migliori in quanto tali, ma perché in grado di catturare lo slancio ideale dei loro vent'anni. «Il merito è giovane, il coraggio è giovane. Non l'anagrafe o la rincorsa ai privilegi». Il nuovo governo, quello di Mario Monti e dei «suoi» tecnici, però, giovane non è. «Non mi strapperà nessuna critica sulle scelte fatte dal presidente del Consiglio per i ministri. Certo mi è molto dispiaciuto che su 16 ministri non si è ritenuto che nemmeno una persona sotto i 55 anni anni avrebbe potuto dare il proprio contributo al Paese, alla storia dell'Italia. Una persona che ha 75 anni e una che ne ha 20 vivono in due mondi differenti. Non ce n'è uno migliore dell'altro, ma entrambi vanno rappresentati e interpretati. È il messaggio che è sbagliato. È come se ti dicessero: per fare cose all'altezza della situazione di crisi e di emergenza che stiamo vivendo devi essere in età pensionabile. Bè non è cosi che funziona», spiega indignata. Anzi, decisamente arrabbiata. Già, perché Giorgia Meloni nei giovani crede eccome. Aveva anche presentato una proposta di legge per abbassare l'età di ingresso in Parlamento. «Non sono così ingenua da credere che tutti i ventenni sarebbero in grado di fare il deputato o il senatore. Nove su dieci sono immaturi, lo so anch'io. Ma perché a quell'unico che invece è all'altezza, per legge, gli dobbiamo vietare la possibilità di farlo?».