Professione castrato
Farinelli, Porporino, Senesino eunuchi più osannati dei divi di oggi
Funell'anno trionfale dei patrioti e dei Savoia che una legge abolì la «creazione» chirurgica dei castrati, quella schiatta di belle voci che aveva calcato dal Cinquecento i palchi d'opera e le cappelle fitte di canti e preghiere, in primis la Sistina. I re sabaudi ci sguazzarono a bocciare un'abitudine cresciuta soprattutto entro le mura di Papa Re, per la fissazione della Curia di vietare alle donne di cantare in chiesa. Vade retro, screanzate, impure, imperfette. Tra ceri e crocifissi solo voci bianche. Fanciulli e poi quei virtuosi che avevano perso gli attributi prima della pubertà, col risultato di mantenere la voce sottile e cristallina, eppure capace di acuti lunghissimi - fino a dodici battute con un fiato solo - perché uscivano dal masculo toracione piuttosto che da molle petto di femmina. Se ne sentirà l'eco stasera a Roma, al Parco della Musica, nella serata dedicata al castrato più famoso, Farinelli. Musiche barocche, modulate però da una donna, essendo estinta appunto da un secolo la razza dei castrati. Infatti ancora per qualche anno dopo l'Unità i cantori evirati resistettero Oltretevere. Precisamente fino al 1903, allorché Pio X sentenziò nel motu proprio, «Tra le sollecitudini», che in chiesa le vocine fossero solo dei giovinetti. Era il tramonto di un costume - presente fin nell'antichità con gli eunuchi dei cori bizantini - che nel mondo molle e colorato del belcanto aveva cresciuto personaggi leggendari. Intorno ai primi anni del Settecento arrivavano a 4 mila i ragazzini sottoposti al trattamento. In collegio, studiavano mattina e sera. Canto, composizione, portamento. Prendevano spesso il nome dei maestri. Farinelli in realtà si chiamava Carlo Broschi, Porporino era Anton HUbert o Antonio Uberto. E poi Gizziello, Nicolino, Senesino. Icone dell'universo dorato delle corti, suscitavano adorazione isterica da parte delle folle. Händel li prediligeva, nell'Orfeo di Monteverdi il ruolo di Euridice è plasmato sulla voce dei «musici». La Napoli corrusca e lazzarona dei Borbone fu, con la Spagna, l'humus più fertile. Per i melodrammi barocchi e rococò, popolati di dei ed eroi, questi interpreti ambigui, al di sopra della connotazione maschile o femminile, incarnavano la perfezione: persone-non persone, estranee alla anonima quotidianità. Felici? Chissà, chiusi com'erano sotto una teca di cristallo. Omosessuali? Non solo. Piuttosto ambiti dalle signore, certifica Giacomo Casanova. Erano virili ma non fertili, assicuravano notti focose senza metterle nei pasticci. Oggi li hanno sostituiti i controtenori. Cantano in falsetto con una tecnica affinata in principio in Inghilterra. Angelo Bonazzoli è uno di loro: grande e grosso, il 6 dicembre a Tivoli (Scuderie Estensi) tirerà fuori la sua voce vellutata e al diapason nel concerto del Roma Barocca Ensemble. Minuto, ma altrettanto raffinato, il controtenore Filippo Mineccia, recente vincitore del concorso Principe Francesco Maria Ruspoli. Ma di un mondo sparito raccontano libri e film. «Farinelli, voce regina» è la pellicola girata nel 1995 da Gérard Corbiau, dove il timbro del cantante, fatto caaliere di Calatrava dal re di Spagna, viene ricostruita con un mixer. «Porporino, ovvero i misteri di Napoli» è il romanzo del francese Dominique Fernandez. Una deliziosa edizione di Colonnese lo ripropone, inseguendo il protagonista sotto il Vesuvio tra l'economista Galiani e l'alchimista Raimondo di Sangro, tra lady Hamilton, Mozart, Cimarosa. Conclude l'io narrante: «Sapevo che avrei descritto un mondo scomparso, un'arte caduta in disuso. Ma chi avrebbe potuto prevedere che l'avventura dell'ultimo castrato coincidesse con l'esperienza del primo romantico?».