Addio al visionario Ken Russell
Da «I Diavoli» all'opera rock degli Who «Tommy» realizzò un binomio scandaloso tra cinema e musica
Cineastabarocco, eccentrico, nevrotico e geniale, ha mostrato una spiccata e fantasiosa attenzione per storie deliranti e geniali ed è stato uno dei primi a introdurre l'onirico ed il visionario in un cinema poi ripreso da personaggi come David Lynch e Michel Gondry. Disprezzo per la logica, scene sessuali e mortifere, formano il cuore della sua memorabile cinematografia che sembrava non volersi fermare di fronte a nulla. Una carriera, la sua, all'insegna della originalità e del vero e proprio «scandalo» pubblico, tanto da essere soprannominato «l'apostolo dell'eccesso» o «il selvaggio del cinema britannico», per la sua capacità di estremizzare l'elemento provocatorio in diversi suoi film. A cominciare dal suo primo grande successo, «Donne in Amore» del 1969 (terzo film da lui diretto), tratto dal romanzo di David Herbert Lawrence. Dopo aver svolto i lavori più vari (da pilota della RAF a coreografo) Russell divenne anche fotografo. Nel 1956 iniziò a girare cortometraggi, entrando poi nella BBC, dove realizzò alcune azzardate biografie di musicisti e artisti (Elgar, Debussy, Isadora Duncan, Dante Gabriel Rossetti, Frederick Delius, Richard Strauss), dominate da una potenza drammatica ed evocativa difficile da dimenticare. Il suo esordio sul grande schermo arriva nel 1964, con «French Dressing», cui segue un personalizzato poliziesco dal titolo «Il cervello da un miliardo di dollari» (Billion Dollar Brain), ma il successo internazionale viene decretato con «Donne in amore» (Women in Love, 1969, 4 candidature agli Oscar e la statuetta per Glenda Jackson) con il solito odore di scandalo incentrato sulla bizzarra lotta tra due uomini nudi (Oliver Reed e Alan Bates), dei quali vengono dilatate le realtà omosessuali e gli aspetti di violenza, privilegiando l'indagine psicologica alle scene ideologiche e simboliche dello scrittore Lawrence. Sesso e sangue erano i suoi ingredienti imprescindibili per stupire gli spettatori e «svegliali» era il suo motto per destare sempre attenzione con le sue pellicole. Il suo più grande film scandalo resta «I Diavoli» (The Devils, 1971), presentato alla Mostra di Venezia, dove venne triturato dalla censura italiana per la truculenta e provocatoria rivisitazione del Medioevo e delle streghe: quel racconto sull'orrore del potere lo impose comunque tra i più grandi cineasti. La sua maestria si confermò anche in una serie di biografie di grandi artisti, come «L'altra faccia dell'amore» (The Music Lovers, 1970), su Cajkovskij; «La perdizione», 1974, su Mahler; «Lisztomania» (1976) su Liszt e «Valentino», sulla star del muto, Rodolfo Valentino. Il suo cinema anarchico e visionario trovòalla fine spazio nell'orgia onirica di «Tommy» (1975), tratto dalla rock-opera degli Who, ma anche nel successo di pubblico riscosso con «Stati di allucinazione» (Altered States, 1980), tratto dal romanzo di Paddy Chayefsky, storia tormentata di uno scienziato che tenta di risalire all'essere primigenio. Dopo essersi dedicato alla regia d'opera con esiti sempre più deliranti, torna al cinema con il thriller «China Blue» (Crimes of Passion, 1984); il terrificante «Gothic» (1986), incubo fantastico sugli incontri tra Byron, Mary Shelley, suo marito Shelley e il dottor Polidori, dal quale nacque il romanzo «Frankenstein», e il sensuale «L'ultima Salomè» (Salome's Last Dance, 1988). Subito dopo inizia però la sua decadenza, nonostante recuperi la tensione delirante dell'horror ne «La tana del serpente bianco» (The Lair of the White Worm, 1989); o la magia del documentario in «The strange affliction of Anton Bruckner» (1990) e persino la potenza drammatica di un genere realistico per lui insolito, come «Whore» (1991). Dopo l'insuccesso di «Oltre la mente» (1995), biografia di Uri Geller che rilancia il suo interesse per il paranormale, continuò a lavorare su produzioni indipendenti, inserendosi nel circuito underground inglese. Anche la sua vita privata è stata piuttosto movimentata: Ken Russell ha avuto ben quattro mogli, nel 1956 Shirley Kingdom, dalla quale ha avuto cinque figli (Alex, Molly, Rupert, Toby e Victoria) per poi divorziare nel 1978. Nel 1983 sposò Vivian Jolly, dalla quale si separò nel 1991 e nel 1992 è convolato a nozze con Hetty Baynes che però lasciò nel 1999, finché nel 2001 sposò la bella Lisi Tribble.