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Lacrime e muscoli tra uomini d'acciaio

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La boxe come metafora della vita che unisce padre e figlio verso il riscatto

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Quandoperò il suo automa viene mandato al tappeto per l'ennesima volta, l'uomo si ritroverà costretto a fare gli addestramenti con una macchina programmata. Questa non è la presentazione di un videogame, ma del film «Real Steel», da domani al cinema distribuito da Walt Disney, che si ispira ad «Acciaio», racconto breve del 1956 dello scrittore Richard Matheson, uno dei più prolifici ed influenti scrittori di fantascienza ed horror del ventesimo secolo, riconosciuto maestro del genere accanto a nomi sacri come Isaac Asimov, Arthur C. Clarke o Philip Dick. Autore di «Io Sono Leggenda» (uno dei più belli e famosi romanzi di vampiri), Matheson era anche sceneggiatore televisivo di «The Twiligh Zone-Ai confini della Realtà» nel quale era compreso l'episodio di «Acciaio». Diretto da Shawn Levy ed interpretato da Hugh Jackman insieme alla bella di «Lost», Evangeline Lily, «Real steel» va oltre l'action, citando «Rocky» e «Terminators», con la produzione firmata dai geniali Steven Spielberg e Robert Zemeckis, per riflettere sul fatto che ogni macchina dovrebbe avere un cuore per trionfare. Per Hugh Jackman (classificato dalla rivista "People" l'uomo più sexy del mondo) e ora impegnato nel musical «I Miserabili» (dove vestirà i panni di Jean Valjean), «i robot affascinano l'umanità da sempre perché possono fare cose che noi umani non sappiamo o non possiamo fare, ma allo stesso tempo siamo noi a controllarli. In "Real Steel" i robot fanno ciò che i pugili veri non possono fare, cioè distruggersi a vicenda fino ad uccidersi. Mio padre era un campione di boxe quando era nell'esercito inglese, ma non ne ha mai parlato molto a me e ai miei fratelli perché temeva che ci picchiassimo. Di recente, quando gli ho detto che avrei lavorato con Sugar Ray Leonard (più volte campione olimpico e poi del mondo), si è subito appassionato. E anche nel film il rapporto padre-figlio è importante tanto quanto l'avvento dei robot nella nostra società. La boxe diventa metafora della vita: tra errori e rimpianti ci sono sempre nuove opportunità. Vorrei che i miei figli credessero sempre in se stessi, anche se non avranno tutto dalla vita». Nella pellicola, ambientata in un improbabile futuro, il pugilato non è più una questione umana, ma a combattere sono robot manovrati da tecnici.Quasi la forza umana non sia più necessaria, né sufficiente, nei combattimenti. Un ex-pugile caduto in disgrazia, e ora condannato a far combattere robot scassati in incontri di bassa lega, viene forzatamente riconciliato con il figlio di 11 anni dopo la morte della madre che lo aveva in affido. Con lui rimetterà in sesto un vecchio modello di robot-pugile che si rivelerà un'arma formidabile per trionfare nel mondo della boxe robotica e per riunire padre e figlio in una passione comune. Più che aver adattato «Steel» sembra che Shawn Levy e il team di «Real steel» abbiano voluto cavalcare la moda dei robottoni al cinema, utilizzando il nome di Matheson come investitura intellettuale. L'idea di una società che mette dei robot di forma umanoide a combattere sul ring fino alla mutilazione, il rapporto a due padre/figlio (tra Hugh Jackman e Dakota Goyo che insieme riescono a dar vita a un gioco di complicità e affettività, nonostante speranze e battibecchi), sono gli ingredienti di una sofisticata commedia sentimentale. «Real steel» trova però una sua spiccata personalità cinematografica soprattutto quando immagina i suoi incontri tra robot tanto come evoluzione del pugilato, quanto come evoluzione dei videogiochi. Tra odissea familiare alla «Over the top», l'incontro finale di quasi tutti i «Rocky» (l'avversario russo, la resistenza durante l'incontro per esplodere alla fine, il nome urlato dopo il gong) e omaggi al cinema per l'infanzia (come il robot protagonista che ha le fattezze del Gigante di ferro di Brad Bird), «Real steel», con un budget di ben 110 milioni di dollari e la garanzia del produttore Steven Spielberg non poteva non fare centro. Hugh Jackman emerge nel ruolo di Charlie Kenton, lottatore fallito che ha perso la sua occasione quando un robot d'acciaio alto due metri e mezzo e dal peso di oltre novecento chili lo mette ko sul ring. Ma poi si fa convincere dal figlioletto Max a costruire ed allenare un robot concorrente per il titolo: è l'occasione per il grande riscatto. E forse per trasformare il film in un accattivante videogame.

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