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L'appassionante Onegin di Ciaikovsky diretto a Roma dal russo Gergiev

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AspettandoAbbado e Muti, attesi a breve rispettivamente all'Accademia S. Cecilia e all'Opera, ecco Valery Gergiev, il grande direttore russo da anni sulla cresta dell'onda musicale, concedersi al pubblico romano sia nel prediletto Mahler (stasera la Quarta e la settimana prossima la Settima Sinfonia), sia nell'amatissimo repertorio russo, legato al "suo" Mariinskij di Pietroburgo. E proprio con l'Orchestra di questo storico teatro russo ha debuttato ieri nel Festival Gergiev dirigendo l'Eugenio Onegin di Ciaikovsky, con la Dama di picche, anch'essa tratta da Pushkin, l'opera romantica più popolare della tradizione russa. Un banco di prova quello di Onegin, opera bellissima ma poco eseguita in Italia, per vedere il maestro sul podio della sua orchestra, che dirige con mano sapiente negli alti e bassi emotivi di questa strabiliante partitura: basterebbe ascoltare come Ciaikovsky sappia magistralmente far crescere la tensione drammatica nella scena, inizialmente fatua, che culmina con la sfida mortale tra i due amici Onegin e Lensky, superficiale e futile il primo, stolidamente geloso il secondo. L'opera eseguita purtroppo senza scene e costumi, vive di atmosfere intime, sfumate, di una drammaturgia che sonda l'animo femminile di Tatiana innamorata del bel tenebroso Onegin, amico di Lenski, fidanzato della sorella Olga. Vicende d'amore parallele, destinate a un fine non lieto (e non avrebbe potuto essere diversamente in un artista sofferto come Ciaikovsky). Opera di un sinfonista, innanzitutto, di un compositore cioè che sa usare a meraviglia l'orchestra come una tavolozza coloristica, ma anche opera disseminata di gioielli lirici come la intensa scena della lettera, affidata alla bella voce di Irina Mataeva, o la nostalgica aria del principe Gremin nell'ultimo atto assegnata al basso Sergej Alshashkin, o nei tratti più discorsivi delle intemperanze dell'Oniegin di Vladislav Sulimsky, solo alla fine pentito della sua leggerezza. L'ambientazione russa nella tranquilla dimora di campagna delle ragazze e negli aristocratici palazzi pietroburghesi vivacizzati dai valzer e dalle danze di gruppo fa da sfondo a questa delicata storia di anime, squassate dall'amore o meglio dalla diversa ritmica del sentimento, che nasce e si manifesta spesso in modalità e tempi molto diversi tra uomo e donna. Qualsiasi remora sul trattamento librettistico dell'opera sfuma come neve al sole al calore della musica ciaikovskiana, sempre scopertamente autobiografica. Lorenzo Tozzi

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