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Il poeta della guerra amava la pace

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L'autore dell'Eneide dilaniato dalle contraddizioni Celebrò Roma, ma con il cuore nella sua Mantova

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Consacròal progenitore Enea, al rifondatore Augusto e all'Impero la più alta e vibrante poesia epica, ma nella memoria custodì per sempre le immagini della sua Mantova e della pianura lombarda, "là dove il Mincio si distende in un lento snodarsi di curve e orla di canne flessuose le rive". Seppe donare alla letteratura e alla fantasia un personaggio di donna appassionata, forte più della morte, come la regina di Cartagine Didone, ma nella sua biografia non entrano personaggi femminili di rilievo, tali da incendiare e placare i sensi, e da addolcire una nativa malinconia. Perché Virgilio era malinconico e schivo, pensoso e solitario, e nei cinquantun anni della sua vita si tenne sempre lontano dai tumulti affettivi, scegliendo lo studio e la contemplazione, e trovandosi a pieno agio lontano dal chiasso e dal fasto dell'Urbe - pure eternata nell'"Eneide" -, in quella Napoli dove era stato iniziato alla sapienza epicurea e dove volle essere sepolto. Certo, il profilo di Virgilio è complesso e per tanti versi è di ardua decifrazione, ma anche questo è uno dei motivi del suo fascino. Quale si ripropone nella Mostra "Virgilio- Volti e immagini del poeta", dedicata alla sua iconografia nel corso dei secoli ed allestita a Mantova a Palazzo Te (fino all'8 gennaio; Catalogo Skira, a cura di Vincenzo Farinella, pp.208, euro 36). "Romano" per elezione culturale, ma lombardo di etrusche ascendenze, Virgilio è dunque ricordato, nella città che gli ha dato i natali e a cui già una iscrizione del 1190 rilascia il nobile attestato di "urbs virgiliana", in una lunga sequenza di "testimonianze". Più di sessanta pezzi tra sculture, incisioni, monete, medaglie, antiche edizioni delle opere, dipinti ecc. restituiscono un'immagine in tutte le sue valenze suggestive. O addirittura "arcane", perché Virgilio, sin dall'età classica non solo poeta ma "mago", in età medioevale diventa "profeta", grazie a quella quarta bucolica - celeberrima - in cui canta l'avvento di un mondo rinnovato da un "puer", un bimbo "divino" partorito da una Vergine. "Duca", "signore", "maestro" e "padre" di Dante nell'Inferno e nel Purgatorio, il Mantovano abita da sempre nei nostri "ricordi di scuola" e nelle nostre successive letture, e qui, a Palazzo Te, il gran balzo nel "tempo ritrovato" attinge subito forza dal meraviglioso mosaico di Hadrumetum: quello raffigurante un austero e concentrato Virgilio che siede tra Calliope, musa della poesia lirica ed epica, e Melpomene, musa della poesia tragica. In mano, un rotolo che reca scritti alcuni versi dell'Eneide. Ritrovato nel 1896 in una villa dell'"Africa romana" (Hadrumetum, l'odierna Sousse, è in territorio tunisino), il mosaico è conservato del Museo del Bardo di Tunisi ed esce per la prima volta dai confini nazionali. Ma c'è tanto altro da vedere nella Mostra mantovana: dalla scultura duecentesca che raffigura in cattedra Virgilio, glorioso emblema cittadino, al bozzetto in gesso con cui, nella seconda metà degli anni Venti, Giuseppe Menozzi vinse il concorso per un monumento al Poeta; dalla seicentesca "Morte di Didone" di Pietro Testa, di recente restaurata, alla tela d'impronta caravaggesca di Rutilio Manetti, raffigurante Dante e Virgilio al momento di varcare la porta dell'Inferno; dall'"Enea nei Campi Elisi" di Sebastiano Conca, pittore napoletano dell'età barocca, alle "vedute" dell'inglese Joseph Wright of Derby che durante un Grand Tour in Italia rimase potentemente affascinato dal paesaggio di Piedigrotta dove il Poeta fu sepolto; dalle varie, preziose edizioni del "corpus" virgiliano alle monete coniate a Mantoca dal XII al XVII secolo, in cui il volto o il nome di Virgilio confermano il perdurare attivo di una memoria.

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