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Spunta un diavoletto nel cielo di San Francesco

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Ascovarlo è stata la storica Chiara Frugoni, grande studiosa del francescanesimo. Eppure, quel particolare - «un vigoroso ritratto, completato anche da due corna scure», secondo le parole della medievalista - compare in una delle scene centrali del ciclo della Vita di Francesco: la ventesima, quella che mostra, in basso, la morte del Santo, attorniato dai discepoli, e nella parte superiore l'anima di Francesco ascesa in cielo. In mezzo c'è appunto la nuvola, con il demone. Ci sono volute 66 giornate di lavoro per completare la scena. E il diavolo non è uscito da una pennellata a caso. Chi voleva rappresentare il pittore? Se stesso, un collaboratore, un frate committente? Oppure, quasi nascosto nelle nuvole, tentava - come si credeva nel Medioevo - di impedire la salita delle anime al Paradiso? A porre le ipotesi interpretative è la stessa Frugoni, parlando - in un articolo per il prossimo numero di San Francesco Patrono d'Italia, la rivista edita dal Sacro Convento di Assisi, anticipato dal sito sanfrancesco.org - di un «significato ancora da approfondire, ma che sembra destinato a dare buoni frutti». Secondo il capo dei restauratori della Basilica, Sergio Fusetti, la scoperta della Frugoni introduce una «novità iconografica, ma il demone non sembra entrare nella scena vera e propria, altrimenti sarebbe stato evidenziato con più visibilità. Forse è stato un dispetto dell'artista nei confronti di qualcuno o forse un suo divertimento». Se, dunque, c'è campo aperto per le interpretazioni di quel profilo di demone - naso adunco, occhi scavati, due corna scure - la stessa Frugoni è invece certa che la sua scoperta sia destinata a fissare un nuovo inizio di quella che chiama la «manipolazione delle nuvole» da parte di un pittore. «Fino ad oggi - osserva - il primo pittore che pensò di trattare le nuvole era ritenuto Andrea Mantegna che nel suo San Sebastiano, dipinto nel 1460 (conservato nel Kunsthistorisches Museum a Vienna), mostrò un cavaliere che emerge da una nuvola. Ora, il primato del Mantegna non è tale». Dice la sua lo storico dell'arte romano Claudio Strinati. «Che vi siano elementi nascosti in un'opera d'arte è del tutto normale. Le opere hanno sempre due facce, una esplicita ed una implicita, destinata ad essere colta solo da alcuni. È però difficile dire delle intenzioni dell'autore, capire, ad esempio, se l'elemento nascosto è concordato con i committenti oppure è celato anche a loro».

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