Quel piacere puro nelle musiche di Lelio Luttazzi
Autobiografico,scritto quasi a caldo sulla vicenda che nel 1970 lo rese vittima di un clamoroso errore giudiziario, il film, riscoperto dalla moglie Rossana e adeguatamente restaurato, pone l'accento su certo strapotere della magistratura. Film di denuncia, tecnicamente povero, ma di fatto già di culto, presentato nell'autorevole rassegna da vari personaggi del mondo dello spettacolo, da Pupi Avati a Pippo Baudo. La pellicola ritrovata, il gesto artistico che si riversa contro la casta dei giudici nasce da un lungo rapporto del musicista triestino con il cinema. Oltre trenta colonne sonore firmate per i principali registi italiani degli anni Cinquanta e Sessanta, da Vittorio De Sica a Mario Monicelli, da Dino Risi a Sergio Corbucci. «C'è qualcosa di estremamente luminoso nella musica di Lelio Luttazzi - dice Pupi Avati, suo grande amico - il suo rapporto con il cinema obbedisce a quella stagione ormai remota in cui il cinema lo si faceva rivolgendosi al Paese nella sua interezza». L'occasione è comunque buona per la pubblicazione di un doppio album, «Il cinema di Lelio Luttazzi», contenente il meglio di quelle colonne sonore. Rispetto ai grandi compositori che si dedicarono già dagli anni Cinquanta al cinema, Luttazzi non ha goduto dello stesso prestigio, forse perché artisticamente coinvolto in vari progetti, anche se a ben guardare il suo tocco è sempre personale e le sue colonne sonore appaiono sempre «firmate». Scorrono le immagini di «Totò lascia o raddoppia», «Totò, Peppino e la Malafemmina», «Promesse di marinaio», «Risate di gioia», «Peccati d'estate», «L'ombrellone», con alcuni dei più popolari attori dell'epoca e scorre soprattutto la gran quantità di swing che il maestro sapeva imprimere a scene indimenticabili. Già, perché il jazz è sempre stata la sua passione di una vita, in questo caso ben assecondata dai migliori jazzisti italiani che compaiono nelle sue formazioni. Ancora una volta è lo stile a colpire, il garbo con cui riesce a far cantare chiunque. Ascoltiamo la brillantezza di interpreti non dimenticati, quali Jula De Palma, Teddy Reno e Fausto Cigliano e addirittura Mamie van Doren, platinata star di Hollywood già in disarmo. Puntuale arriva la chicca inedita: Mina alle prese con «Chi siete», tema di cui Luttazzi è autore di testo e musica, inserito nei titoli di coda del film «L'ombrellone», anno 1965. Naturalmente c'è anche il Luttazzi performer, cantante e pianista, interprete sfrenato dei suoi «scat», le improvvisazioni vocali di cui era fenomeno e maestro. In questo caso non si ascolta solo jazz ma anche temi funzionali alle pellicole, balli di moda, dal cha-cha-cha al calypso e addirittura un incredibile Luttazzi cantante e pianista di rock and roll emulo di Little Richard. L'impressione che se ne ricava è che Lelio Luttazzi abbia preso il cinema come pretesto per puro divertimento, estrema seduttività, libertà espressiva, magari anche dal jazz, che proprio in quel periodo viveva fra paurosi e insopportabili steccati stilistici. A sentirlo in questa antologia il pensiero corre anche alla sua ben nota indolenza, ad una certa pigrizia, ad un lato ben noto della sua indole che in qualche modo lo ha reso meno esuberante. Tutto questo per dire che se le cose fossero andate diversamente e se non ci fosse stato, nel pieno della maturità, quell'incidente di percorso, avrebbe potuto dare molto di più come compositore cinematografico. Ma alla fine le cose sono andate bene comunque e ascoltare questi brani, a volte semplici segmenti per esigenze cinematografiche, è piacere puro. Piacere sano.