Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Così inesorabilmente si dissolve il ceto medio

default_image

Scenari De Rita e Galdo ne «L'eclissi della borghesia» puntano il dito sulle élites, anche quelle ecclesiastiche

  • a
  • a
  • a

91,euro 14). Nello scorrere le pagine di questo saggio mi è tornata alla memoria una giornata del giugno 1997, a Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici nel suggestivo Palazzo Serra di Cassano. Ne fu protagonista indiscusso quel grande studioso della Rivoluzione Francese - e non solo - che è stato François Furet, in quello che doveva essere uno dei suoi ultimi interventi pubblici prima di una morte improvvisa che lo avrebbe portato via poche settimane dopo. Fra le tante cose osservò con acume: "La società moderna che possiamo chiamare anche società borghese o società capitalista, è una società che non si può amare. Non si può amare perché manca di una legittimazione profonda. Un borghese non è nulla, consiste tutto nella sua ricchezza, non ha legittimità nell'immaginazione degli uomini. Il borghese è ricco, ma avrebbe potuto essere povero, così come il povero avrebbe potuto essere ricco. In altri termini, nella società borghese c'è un consenso debole, perché l'autorità non è legittima". Insomma per Furet le società borghesi vivono sul consenso dei governati poiché su di essi fondano la loro forza e soprattutto la loro legittimità, tuttavia quel consenso è venuto meno in quanto non c'è più sugli scranni del potere una classe politico-dirigenziale "rispettabile". Quindici anni dopo De Rita e Galdo - già acuti lettori del fenomeno - ritornano sul problema borghesia cogliendone i punti di maggiore debolezza se non addirittura di irrimediabile disfacimento. Il "virus" mortale della borghesia occidentale e nostrana ha contagiato la società, la politica, che ne è espressione, e di rimando il sistema economico. Gli uomini politici appaiono tragicamente schiacciati sul presente privi di passione e di autorevolezza, gongolanti su quel famoso "consenso" di Furet che è poi quello di un popolo, il nostro, immiserito e impaurito senza prospettive in un futuro del quale non riesce più ad intravvedere gli orizzonti. Non sbagliano quindi De Rita e Galdo quando affermano che la crisi della nostra classe dirigente, negli tre decenni, si è tradotta in "uno svuotamento delle istituzioni e nella sostituzione dei partiti (...) con tribù di varia taglia, così il nostro capitalismo, ai piani alti, assume sempre più le sembianze di un circuito di relazioni opache e alla ricerca di reciproche protezioni anziché una sana e vitale concorrenza". E in tutto questo caos neanche la Chiesa esce indenne. Essa ha deciso di limitarsi a giocare in difesa, a "presidiare - solamente - i valori non negoziabili" oppure a circoscrivere la sua azione nel trattare su questioni come i finanziamenti alle scuole cattoliche. Mentre le diocesi sono spesso affidate a vescovi "che non sono all'altezza" e le parrocchie sono arroccate "in una presunta dimensione di evangelizzazione". Saremo condannati insomma a restare orfani della borghesia? Forse no, ma ci troviamo senza dubbio in un momento di svolta storico se non addirittura epocale. Nuovi paradigmi sono già in azione, ma è ancora difficile riuscire a comprenderli nella loro totalità. È certo che il "noi" dovrà sostituirsi all'"io" in una nuova etica della responsabilità e per questo occorrerà del tempo che, come si sa, è sempre la migliore medicina per i mali più grandi.

Dai blog