Sulla via di Damasco si converte il camionista
Avantie indietro con la merce, spesso all'estero. Non sceglie, gli dice il capo dove deve andare. Però quel viaggio a Betlemme proprio non gli va. Invece è il viaggio che gli segna la vita. Gli fa incontrare strane persone, gli sbatte in faccia un'umanità lacerata. Cristiani, ebrei, palestinesi, gomito a gomito nei vicoli di Gerusalemme, nel bazaar, nei locali. Paolo non crede, non crede perché non vede. Per questo gli pesa quello strano Paese intriso di odio e di religione, di Dio contro Dio. Agisce su due piani «La strada di Paolo», il film di Salvatore Nocita proiettato in anteprima al Palazzo delle Esposizioni, evento speciale del Festival di Roma. C'è il testo e l'ipertesto. C'è il realismo delle immagini, che con stile quasi documentaristico si allargano sui panorami della Terra Santa. Le case di Gerusalemme, il Muro del Pianto, le autostrade abbacinate. E c'è l'apparizione di personaggi che s'insinuano nella coscienza di Paolo, l'italiano che non ha fede, vuole portare a destinazione il carico e tornarsene al suo paese. Procede così, il film di Nocita. Un andirivieni nella coscienza di Paolo (alla quale dà volto un diligente Marcello Mazzarella). Il primo incontro è premonitore. Una suora (Milena Miconi) lo aspetta ad Haifa e lo accompagna a Betlemme, all'ospedale dei bambini, perché il carico che porta dall'Italia è di medicine. Insiste suor Maria perché Paolo non riparta subito. Veda almeno il posto dov'è nato Gesù. E veda Gerusalemme. Lui riottoso si fa convincere e una carezza è il commiato dalla suora. Il primo cuneo nella sua indifferenza. Gli altri sono inseriti da Gabriela, un'eterea Valentina Valsania. Si affianca all'improvviso a Paolo. Palestinese sposata a un ebreo, dice. Ma gli parla dell'anima: la sua, quella di Gerusalemme. Un angelo in jeans. E forse è anche un angelo quel ragazzino che si para davanti al camion di Paolo, con una cesta di frutta tra le braccia. Gliela offre, poi scompare. Un'altra presenza invece smonta i discorsi dell'angelo. Non c'è trascendenza, né preghiera, in un mondo che si scanna, gli dice luciferino un fotografo, cui dà volto, allucinato, Philippe Leroy. Ma ormai Paolo è come quello di Tarso, che trovò la fede sulla via di Damasco. Torna in Italia ma poi prende il traghetto che lo riporta ad Haifa. Il camion corre nella pianura brulla. Poi un boato, il mezzo salta in aria. Il fotografo disincantato sibila all'angelo: «Era tuo amico, perché l'hai lasciato morire?». La riflessione è affidata anche alle interviste che trapuntano il film: ai cardinali Scola e Ravasi, a Lucetta Scaraffia, a Roberto Vecchioni. Che dice: «Il trascendente sublima anche le nostre piccole azioni».