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Vizi privati e pubbliche virtù degli aristocratici inglesi

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Dueconiugi (nuovi ricchi), di nome Fiona e Philip, sognano l'upper class. Lei si iscrive a prestigiosi circoli di cavalli, lui frequenta ambienti bene. Fiona fa presto a trasformare il suocero postino in «uomo di lettere». Cerca e ricerca, trova un legame tra il marito e Sir Roger Chomeley - fondatore dell'Highgate School - ma manca un titolo e, soprattutto, uno stemma. Lo rintraccia nella famiglia di Sir Roger: è attraversato da una spada. Sullo sfondo un cimitero e una testa di grifone. È fatta, pensa Fiona. E il marito finanziere ne fa bella mostra con un anello, durante una cena. «Che coincidenza - dice sfilandoselo dal dito e rivolgendosi al suo dirimpettaio - Che anche il suo stemma di famiglia esibisca un grifone!». Ad alta voce l'altro risponde: «Non sapevo che anche lei avesse frequentato Highgate School. Questo è lo stemma della scuola, e tutti noi ex allievi continuiamo a portarlo sul taschino dei nostri blazer». A raccontarlo è un corrispondente d'eccezione: Antonio Caprarica ne «La classe non è acqua» (Sperling & Kupfer, pp. 265), che da anni narra avventure e disavventure degli inglesi. Una sorta di cronistoria di vizi e virtù di aristocratici e teste coronate. A telecamera spenta, relega nelle pagine di un libro quello che, a voce, sarebbe difficile da descrivere. Come lo è scoprire che tra i Lord (prima che Blair li «ghigliottinasse» sfilando privilegi agli ereditieri ed escludendoli di fatto dalla vita pubblica) si sono nascosti malfattori, ladri e viveur. C'è chi spende e spande fino a dilapidare il patrimonio: è il caso di Henry Cyril. Il suo guardaroba? Caprarica ne elenca i capi. Pantofole di seta a non finire, mantelli, scarpe scamosciate e soprattutto un abito doppiopetto di zibellino con una particolarità: ogni occhio un diamante. E ancora pietre preziose, bastoni di ogni genere tanto da possederne una collezione intera. A ventitré anni l'eredità, nove anni dopo la morte. E un'enorme fortuna gettata al vento. Ci sono stati altri che pur di mettere le mani sui rimborsi governativi dichiaravano di essere a Londra mentre erano in viaggio verso l'India. «Lo fanno tutti», fu la scusa al processo. Certo, è anche il caso di ammettere che su alcuni il «buon nome» di famiglia sia piovuto in testa come una disgrazia: coloro che si sono ritrovati dal giorno alla notte con «la corona» di conte in testa. E la cassa vuota a causa dell'egoismo degli avi. I duchi di Cambridge sono un capitolo a parte, e la favola in questo mondo opaco è (in parte) concessa. Ora, se avete letto solo di sfuggita le riviste patinate e non vi siete sorbiti ore e ore di diretta televisiva per il matrimonio del secolo, forse siete ancora dell'idea che William abbia sposato una sorta di «piccola fiammiferaia» dei giorni nostri. «Waity Katie» («la Kate in attesa»), come erano soliti chiamarla gli inglesi prima del fidanzamento ufficiale, è stata educata nelle migliori scuole inglesi. E un'ex hostess e un ex pilota della British Airways (come la mamma e il papà della sposa) insieme possono mettere su una finanziaria. Soprattutto se si sono reinventati l'esistenza organizzando su internet festicciole per bambini e proponendo kit come cappellini-festoni-bicchieri magari con la star di turno stampata sopra. Vendendosi pure le liste con nomi e indirizzi dei clienti. E sul fatto che i Middleton, nel cui albero genealogico non scorre neanche una goccia di sangue blu, abbiano da parte milioni di sterline, non ci sono dubbi. Quello che gli aristocratici - dal secolo passato in poi - facevano con le erediterie d'oltreoceano, l'ha fatto William in casa propria. Certo, che la ricchezza non abbia evitato che la casta storcesse il naso di fronte a Kate (e soprattutto di fronte alla madre-masticatrice infaticabile di chewing gum), è un altro discorso. Kate e William, principe di Galles. I giornali lo hanno definito «Il matrimonio del secolo». L'inconveniente però è stato che, mentre una borghese sposava un futuro re, le telecamere di tutto il mondo erano puntate sul famigerato «Lato b» di Pippa Middleton. Un «inconveniente» che difficilmente sarà perdonato dal rigido protocollo britannico. E se il laburista Blair non compariva nella lista degli invitati di certo non è stato un caso. Neanche un incidente diplomatico. L'ex premier, infatti, oltre ad aver spogliato di privilegi la Camera dei Lord, ha fatto piangere (Caprarica testimone) la Regina Elisabetta. Colpendola dritta sul privato. Le ha strappato infatti dalle mani il panfilo Britannia. Fiore all'occhiello delle teste coronate, veleggiò alle volte della Russia nella prima visita ufficiale dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Prima che fosse ormeggiato a Edimburgo (dove è tutt'ora) e divenisse una sorta di museo galleggiante (l'ingresso è di 12 sterline), era stato messo da parte ad arrugginire. La filosofia era che, se la Regina voleva una barca, che se l'affittasse. E così fece con Carlo, Camilla e famiglia al gran completo, per visitare le isole scozzesi. Non senza lamentarsi. Si può chiudere in bellezza, intrufolandosi tra le lenzuola della Regina. Pare che il taciturno Filippo, principe di Edimburgo, sia stato scelto da lei in persona. Di più, sembra che abbia dovuto lasciare una tale Osla Benning. Innamoratissimi, i due avevano una storia casta e seria: dopo Osla, la scelta divenne (quasi) a senso unico. Il fatto che la Regina gli abbia perdonato le scappatelle è un dato di fatto. L'importante, in società come quella inglese, è apparire. E i due, in fin dei conti, non hanno divorziato.

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