Roma Film Fest, la brutalità del sistema nel film di Kahn
Ieri sera "Una vita migliore" (Une vie meilleure) di Cedric Kahn, in concorso per la Francia al Festival di Roma, ha incantato tutti alla prima stampa. E oggi il regista non ha mancato ancora di sorprendere, nell'incontro con i giornalisti, attaccando, in piena crisi economica, banche e capitalismo e indicando anche "una vita migliore" da vivere. Intanto nel film del regista e sceneggiatore francese (La noia, Roberto Succo) da sempre appassionato di "ossessioni", c'è ben poco da ridere. Quella che racconta infatti Kahn è una storia triste, di progressivo e inesorabile impoverimento per una giovane coppia con bambino che ha una sola colpa: quella di inseguire il desiderio di fare quattrini e avere successo mettendo su un'impresa. Il protagonista Yann (il grande Guillaume Canet), chef in cerca di lavoro, incontra in un ristorante una cameriera libanese Nadia (Leila Bekhti) che, scoprirà solo dopo, ha un figlio adolescente. Tra i due nasce subito l'amore e Yann si troverà a creare una famiglia con Nadia e suo figlio di nove anni. Deciso a cambiare la loro vita, l'uomo chiede alla banca un prestito per allestire un piccolo ristorante sul lago. Ma i soldi non bastano mai e Yann dovrà accendere, di volta in volta, innumerevoli mutui che lo sommergeranno ben presto di debiti. Per uscire dai guai Yann e il ragazzino si troveranno costretti a fuggire dalla Francia e a raggiungere Nadia che nel frattempo è andata in Canada cercando una salvezza economica per la sua nuova famiglia. «Tutto il sistema sfrutta la fragilità delle persone. È questa la sua brutalità. E la banca è l'immagine stessa del sistema» ha detto Cedric Kahn in conferenza stampa. E ancora: «gli istituti bancari approfittano della fragilità e della debolezza degli individui; sono come un sistema mafioso». Ma "Una vita migliore" «oltre ad accusare, deve anche proporre. E, in fondo, - ha spiegato il regista - questo è soprattutto un film d'amore. Questa famiglia, alla fine, scoprirà che si può abbandonare una visione materiale delle vita e trovare la felicità anche nella povertà. Yann scopre questo anche grazie al bambino. Insomma, credo si possano cambiare gli ideali, che non sono solo quelli occidentali, e si può vivere una vita migliore oltre il capitalismo». Il film, che potrebbe correre per qualche premio in questa sesta edizione del festival, conclude Kahn, «non vuole sublimare affatto la realtà, come fa spesso Hollywood, ma solo raccontarla come la vedono la mia coscienza e le mie idee. Racconto solo il tema della povertà e la cosa che più mi disgusta: lo sfruttamento».