La famiglia? Una miniera
L'occhio «laico» di Don Camisasca: nella convivenza sacrifici e risorse
Sepoi la parola crisi è abbinata alla parola famiglia, il successo è garantito: nessuno potrà negare, infatti, gli impegni, le responsabilità, lo stress che ineluttabilmente inducono a vedere nella famiglia quasi una moderna forma di tirannia, un'oppressione della sacrosanta libertà individuale. Roba da divorzio, insomma. Contemporaneamente, però, eccoci servita la «famiglia del Mulino bianco», tutta carezze e sorrisi, veicolata da una sorta di potere dell'informazione che non tollera un'immagine della vita come veramente è: complessa e piena di contraddizioni. In questo profluvio di anime belle e (apparentemente) libere, c'è però qualcuno che viaggia controcorrente e preferisce vedere le cose in modo più obiettivo e, per così dire, laicamente oggettivo. Non deve sorprendere che a farlo sia un sacerdote: specialmente di questi tempi, si può ben dire che per ascoltare un discorso umanamente ragionevole sia opportuno rivolgersi a un prete. Meglio ancora se il prete in questione è Massimo Camisasca, che nel suo recente «Amare ancora. Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani», edito da Messaggero Padova, non teme di gettare uno sguardo disteso e sincero sul mondo della convivenza familiare e della procreazione. Nelle parole di Camisasca non c'è traccia di dissimulazione: la famiglia è fonte di difficoltà e complicazioni talvolta inaspettate, di incomprensioni e discussioni lontanissime dalla immagine incantata e consolatoria che media, pubblicità, film e romanzetti di ogni genere hanno contribuito a plasmare nella coscienza collettiva. La famiglia, come tutte le cose che valgano davvero, ha in sé un aspetto di esaltante conquista e quindi comporta sacrifici. Ma, anche e proprio per questo, resta l'autentica e insostituibile sfida nella vita dell'uomo e della donna, l'unico «scrigno sociale» in grado di custodire i valori veri. E allora rinunciarvi in nome di un malinteso spirito di libertà e autonomia, conduce in realtà verso i lidi della inutile solitudine («la massima sventura») e non di rado nella disperazione. «L'uomo - scrive Camisasca - per essere felice cerca da sempre legami stabili, desidera che ciò che ama possa durare per sempre. Non è continuando a cambiare che si può essere più felici. Le difficoltà non sono i segni inevitabili di un fallimento ma la possibilità di un cambiamento. Una delle grandi mistificazioni del nostro tempo consiste nell'avere separato, addirittura contrapposto, la libertà del singolo e la sua appartenenza. Al contrario: non si è liberi se non si appartiene». Se qualcuno si domandasse ancora perché la Chiesa insista instancabilmente nell'inserire la famiglia tra i tesori da tutelare, non può che riflettere su ciò che il libro di Camisasca ci ricorda: la Chiesa difende semplicemente la sostanza sana della società, così come ci è stata tramandata da ciò che unisce la tradizione millenaria del cristianesimo al buon senso. «Il matrimonio si manifesta come unione duratura d'amore tra un uomo e una donna, che è sempre tesa anche alla trasmissione della vita umana. Una sua condizione è la disposizione dei partner a rapportarsi l'uno con l'altro per sempre. Dobbiamo essere consapevoli che il buon esito dei matrimoni dipende da tutti noi e dalla cultura personale di ogni singolo cittadino». Lo ha detto Papa Benedetto XVI, e significa: siamo quindi disposti a impegnarci?