Verdi cacciato dalla scuola
Aprovarlo basta il suo culto di Verdi. Legittima è dunque l'idea, venuta alla Fondazione Centro Studi Rinascimento Musicale, di celebrare il 150° dell'Unità d'Italia anche sul fronte appunto musicale promuovendo la causa del rilancio dell'antico bel canto italiano (che gli autori di questa iniziativa ritengono evidentemente gravemente compromessa) mediante un congresso deliziosamente intitolato «Il canto incantatore». Eppure... Eppure, visto che questo congresso (che si è aperto ieri, venerdì, ad Arteminio, presso la villa medicea «La Ferdinanda», e vi si concluderà oggi) ha proclamato apertamente, nei suoi annunci ufficiali, l'intento di festeggiare il suddetto genetliaco nazionale, non sarebbe male se oggi la sua stessa massima ispiratrice - l'agguerrita cantante e musicologa Nella Anfuso - nel suo discorso conclusivo, ricordasse ai convenuti che uno dei giudizi più infelici che siano mai stati pronunciati contro lo studio della musica e del canto nelle nostre scuole uscì proprio, subito dopo la nascita dell'Italia Unita, dalla penna di una delle figure più illustri della nostra cultura risorgimentale. Mi riferisco, ovviamente, al grande Francesco De Sanctis, per il quale, com'è noto, tutta la nostra letteratura, da Dante a Leopardi, altro in sostanza non era stata che una lunga marcia in versi e in prosa verso il traguardo del Risorgimento. Dal che si dovrebbe inferire che egli, poiché a fomentare quella marcia aveva ovviamente contribuito il pimento di musiche patriottiche sia di vago e pensoso colore rimemorativo e nostalgico sia di fiero timbro battagliero, avesse per la musica del suo tempo una certa gratitudine. E invece, se proprio non ne aveva schifo, la considerava robetta da femminucce. Ragion per cui, non appena ottenne la carica di ministro dell'Istruzione nel primo governo del nuovo regno d'Italia, soppresse ogni traccia di studi musicali in tutte la scuole pubbliche della nazione. Al relatore dunque che per caso, al congresso di Arteminio, volendo dedicare a questo tema qualche riga del suo intervento, avesse bisogno di qualche ulteriore ragguaglio, suggerisco la lettura di un articolo che un insigne musicologo, Quirino Principe, ha pubblicato nell'inserto culturale del Sole 24 Ore di domenica 11 settembre. Da questo scritto si apprende infatti che se l'Italia è l'unico stato al mondo dove la musica non viene insegnata in nessuna delle sue scuole di ogni ordine e rango, la colpa non è di nessun ministro della nostra Repubblica, né di destra, né di sinistra, né di centro. L'origine di questa colpa è da ricercarsi nell'unificazione del Regno d'Italia (1861), che permise appunto al professor De Sanctis di includere l'eliminazione dell'insegnamento della musica nella sua riforma del nostro sistema scolastico. Quale il motivo di questa misura? La musica - egli disse - è attività per donne. Anzi, disciplina per fanciulle ed educande. Il leggendario autore della prima grande storia della nostra letteratura era dunque, oltre che sincero patriota, anche delicato maschilista? Lasciamo perdere. E limitiamoci a insinuare che se da quel suo provvedimento scolastico sembra potersi dedurre che egli avversasse la musica, tutta la musica, la sua patriottica passione ci obbliga a sospettare che, nonostante quella avversione, che forse riguardava soprattutto le romanze, le serenate, i chiari di luna, e le canzoncine religiose, tuttavia non disprezzasse affatto tutte quelle musichette di specie marziale (inni, fanfare, marcette e simili) che possono istigarci a vilissime imprese eroiche.