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Caccia all'uomo della provvidenza

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Ieri Cavour e Garibaldi, destra e sinistra, Berlusconi e Prodi Il futuro ci riserva nuovi leader. Ma non quelli che aspettiamo

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L'eternosottoposto, che fugge, che lascia il potere agli altri per poi disprezzarli, concentrato ad armare nel proprio piccolo mondo gli strumenti che gli permettano di sopravvivere alla vita. Ce lo meritiamo Albero Sordi. E ci serve». Eccome se ci serve, ma è comunque curioso trovare, in un saggio sulla politica, un paragrafetto dedicato al più famoso dei comici di casa nostra. Una cosa è certa: il nuovo libro di Giovanni Floris: «Decapitati - Perché abbiamo una classe dirigente che non ci meritiamo», Rizzoli, 320 pagine, 18 euro, non è uno di quei trattati di politica barbosi che rompono le scatole e dei quali non si capisce niente. Al contrario l'ultima fatica del conduttore di Ballarò rompe sì, le scatole, ma perché si capisce, come annuncia il titolo, che ci ritroviamo con un «niente» che ci governa e che, tutto sommato, potremmo anche stare meglio. Quelli che stanno nella «stanza dei bottoni» sono tanti, francamente anche un po' troppi, e non ci piacciono più. A noi e ai nostri «vicini di casa». «Sono stati sfiduciati dalla stampa mondiale, dal mercato e a guardarli in faccia si nota che sono piuttosto sfiduciati loro stessi», si legge nel libro di Floris. E come si può dargli torto?. Il conduttore del talk show di Raitre ci ricorda le parole di Alcide De Gasperi: «Badate che nella vita pubblica non importerà tanto quello che voi direte, ma quello che voi sarete». In questi 60 anni, si domanda l'autore, chi lo ha ascoltato? In pochi, tra i politici di oggi ed in pochi anche tra noi cittadini, che in qualche modo li abbiamo scelti e tollerati. Ecco, con questo testo Floris inserisce un concetto nuovo: l'Italia di oggi «tollera» una classe politica che non merita. E in questo concetto è già compresa l'idea del cambiamento. Ma quale cambiamento? Floris di politici ne vede e ne sente tanti. Insomma in materia è un'autorità e la sua fotografia di un grande Paese con in testa figure che non rispecchiano il genio italiano è limpida e coglie nel segno. Ma il giornalista non fa l'errore di cadere nell'antipolitica, non fa di tutta l'erba un fascio e non si schiera. Né di qua, né di là. Inutile nasconderlo, Floris è stato accusato di avere simpatie a sinistra, il che sarà anche vero, ma non per «questa» sinistra. Basta leggere due capitoletti del suo «Decapitati» dedicati ai leader prossimi futuri. Un capitoletto è per quelli della destra e l'altro per quelli della sinistra. Uno s'intitola: «Squali, delfini e mattanze (a destra)», l'altro: «Mattanze e basta (a sinistra)». Il che sta a significare che fare il «delfino» di uno squalo (a destra) non è cosa facile, come non è stato facile il delfinato di Fini (partito per altri lidi), di Alemanno (che si è autoescluso) e così non sarà facile il compito di Alfano. Ma a sinistra va peggio. Floris nel suo libro dichiara senza mezze misure che se fare il delfino a destra è difficile, farlo a sinistra è impossibile. Anzi, la vera tragedia dei nostri partiti «rossi», si chiamino come si chiamino: «Cosa», «Quercia», «Ds», «Pd» o ddt è che «bruciano» in faide interne i loro uomini migliori. Floris sottolinea le eterne dicotomie d'Italia, incarnate tanto da Cavour e Garibaldi quanto da Agnelli e Marchionne, o da Totti e Baggio. Un Paese eternamente in bilico tra due poli che è impossibile conciliare. Il conduttore-scrittore esamina i capi del male, come Totò Riina, e capi del bene come Giovanni Paolo II. Ci ricorda le volte in cui ci siamo affidati (sbagliando) all'uomo del destino, e quelle invece in cui abbiamo messo sul ponte di comando leader normali: i De Gasperi e i Pertini, i Ciampi e gli Amato che, magari senza emozionarci tanto, hanno saputo tirarci fuori da momenti di crisi gravissimi. I nostri capi si stanno incamminando sul viale del tramonto ed è una vera e propria emorragia: politica, economia, cultura. Da dove viene la crisi di leadership che ha letteralmente decapitato l'Italia? La tesi di Floris è sottile: ci serve una classe dirigente, come in Francia o in Germania, ma non ci serve l'uomo della provvidenza. Però serve una guida, qualcuno che sappia indicare la strada, che poi altri percorreranno. Insomma l'uomo della provvidenza serve e bisogna andarselo a cercare, perché in Italia c'è di sicuro. Ma, per favore, non chiamatelo così. La riflessione del giornalista non si ferma qui. Floris non si limita a fare un'analisi di un Paese schiacciato dalle crisi a raffica e non si limita ad analizzare le possibili «uscite dal tunnel». Floris individua il «morbo» del «male Italia» e prova a definire una possibile cura. L'Italia, Paese meraviglioso, ha l'amore per le burle. Tra geni, poeti e navigatori nella «scuola» Italia sembra che un nucleo di buontemponi si diverta a fare capoclasse lo scemo del villaggio. Come è accaduto a Mussolini, che gli italiani amavano, con tutte le sue pantomime. Ma che poi hanno appeso per i piedi. Ecco, secondo Floris, il nostro Paese dovrebbe smettere di essere «burlone» e fare, finalmente, capoclasse Leonardo da Vinci, perché questa è la cifra dell'«italianità». Anche se non fa ridere. Una cosa resta sospesa del libro dello scrittore-conduttore. Quel «Decapitati» del titolo. Resta da capire se è un rimpianto o una speranza.

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