di Lidia Lombardi Domani la prima casa degli italiani fa vedere una stanza in più.
Sichiama Galleria di Alessandro VII questa «stanza» in più. Sta al Quirinale. Per dieci anni ci hanno lavorato una schiera di operai, di restauratori, di storici dell'arte. Hanno buttato giù le pareti che da galleria lunga 70 metri l'avevano trasformata in tre sale. Hanno riaperto 13 finestre che erano state murate. Hanno staccato i broccati attaccati su un ciclo di affreschi che solo la Roma papalina poteva permettersi. Hanno restituito alla città un «maraviglioso» ambiente fatto costruire da Sisto V per raggiungere dai suoi appartamenti la Cappella Paolina e fatto affrescare un secolo dopo dal papa fissato con l'architettura, Fabio Chigi. Il lavoro fu commissionato a Pietro da Cortona, che già aveva sparso il barocco a Roma, dagli affreschi di Palazzo Barberini alle forme di Santa Maria della Pace. L'artista lo decorò con i suoi aiuti dal 1655 al 1656, due anni ammorbati dalla peste. Ma lui e i suoi allieri, chiusi a lavorare nel palazzo, scamparono l'epidemia. Pietro il cortonese inventò uno spazio abbacinato della luce che colpiva il colle capitolino. Entrava da 26 finestre, tredici per lato. E faceva irrompere l'esterno nell'interno, un gioco replicato dal trompe l'oeil dell'artista. Il quale ha dipinto sui lati lunghi 16 coppie di colonne e, tra una coppia e l'altra, rami d'alberi e azzurro di cielo. Perfino scorci di città, come la mole di Santa Maria della Pace, in una compiaciuta autocitazione. Insomma, il corridoio era stato trasformato in un finto loggiato. Un gioco amato dai blasonati che si facevano affrescare palazzi e ville. Lo stesso «inganno» dipinto da Baldassarre Peruzzi nel salone delle nozze di Villa Farnesina, voluta nel Cinquecento da un altro Chigi, Agostino. Della «natura dipinta» alternata a rarefatti personaggi in monocromo (sorta di déi color sabbia) e delle storie della Bibbia illustrate in alto fino a dieci anni fa non si vedeva nulla, se ne sapeva appena da certi documenti. Perché Napoleone nel 1812, immaginando di impiantarsi nella città dei Papi e di abitare al Quirinale, volle l'appartamento per l'imperatrice Maria Luisa e decise di squassare la galleria. Fece tirare su le pareti per creare tre sale, la Gialla e quelle di Augusto e degli Ambasciatori. Fece chiudere le 13 finestre sul lato del cortile. E un manto di pesanti tappezzerie e di ridipinture oscurò il barocco di messer Pietro. Il grande còrso non abitò mai sul Colle, l'austriaca Maria Luisa non ci mise piede. Ma gli inquilini che seguirono invece di levare aggiunsero altro. Pio VII, rientrato nel palazzo, cancellò le tracce dell'invasore francese e inserì simboli sacri,Pio IX volle ulteriori decorazioni. E nel 1870 ci misero lo zampino i nuovi arrivati, i Savoia. Per fortuna nessuno raschiò via gli affreschi. Riaffiorati per caso nel 2001, durante i lavori per il nuovo impianto elettrico. Partirono i restauri. Che hanno restituito il loggiato dipinto. E perfino una scritta senza firma ma con data: «Io sono qui prigioniero dentro queste mura, 9 gennaio 1836». Chissà se un mistero sarà mai svelato. Roma affascina anche per il suo groviglio di storie.