Quando il baro è meglio dell'eroe
Il traditore scopre l'orgoglio di essere italiano e si riscatta Nei panni di De Sica Favino: «Niente paragoni, non è una gara»
RispondeVittorio De Sica: «Ma io non sono di Napoli, sono di Sora, un paesino tra Napoli Roma...» Il nazista ribatte: «Anche i romani non ci amano». In questo scambio di battute c'è tutto lo spirito de «Il generale della Rovere», un film-monumento del cinema italiano, firmato nel '59 da Roberto Rossellini, premiato, all'epoca, a Venezia, interpretato da Vittorio De Sica e tratto da un racconto (bellissimo) di Indro Montanelli. Una storia che potrebbe essere la bandiera dell'Italia del Dopoguerra, nel quale un guitto, una spia, un collaborazionista dei nazisti impersona, per infiltrarsi tra i partigiani, un generale antitedesco. Ma il falso generale, appunto, Della Rovere, alla fine si scoprirà coraggioso e disposto al più grande sacrificio. Insomma alla fine il falso si rivela come, o forse meglio, dell'originale. In un'epoca di infiniti remake, con un'operazione che denota notevole coraggio, la Rai propone ora una nuova versione di quel monumento, in forma di fiction, riveduto e corretto e molto più lungo. Mentre si annuncia, proprio in questi giorni, la proiezione dell'originale a san Paolo in Brasile per la Settimana del Cinema Italiano, Raiuno propone, domani e lunedì in prima serata la miniserie «Il generale della Rovere», diretto da Carlo Carlei, con Pierfrancesco Favino nella divisa che fu di Vittorio De Sica. Accolti dall'immancabile salva di critiche (c'è chi, pur con un certo garbo, ha urlato al sacrilegio) cast e regista si difendono con vigore. Quel remake si doveva fare. Anzi, non è nemmeno un remake. Le due puntate, prodotte da Rizzoli, che realizzò anche il film originale dopo aver pubblicato il libro, sono «una cosa nuova», per far conoscere una bel racconto italiano che nessuno più ricorda. «Non ho mai pensato alla competizione con Vittorio De Sica, sarei stato un suicida - dice con schiettezza Favino - Però noi attori italiani i nostri padri ce li portiamo dentro comunque. Io con De Sica, che ha inventato i tempi della recitazione italiana, faccio i conti tutti i giorni. Inutile parlare di confronto con il film di Rossellini - prosegue - perché non è una gara. Comunque scrollarsi di dosso, con affetto, la paura dei padri consentirebbe alla creatività dei giorni nostri di esprimersi. Non ho mai visto come un'operazione di lesa maestà interpretare Della Rovere: De Sica era un attore meraviglioso, se voglio fare questo mestiere non posso non ripercorrere le sue orme». Gli fa eco il regista Carlei: «In un momento in cui l'Italia è considerata una barzelletta raccontare una storia tratta dal racconto di una delle più grandi personalità etiche del nostro tempo come Montanelli è quasi un dovere. Nel film - prosegue il regista che da anni vive negli Stati Uniti - c'è una frase che mi ha stregato: "Quando non sai qual è la strada del dovere, scegli la più difficile". Criticare la scelta di raccontare questa storia significa essere miopi». Una risposta al figlio di Vittorio De Sica, Manuel, che aveva invitato gli autori «ad avere idee proprie». Carlei inoltre chiede a chi critica di vedere la fiction, prima di esprimere pareri. «Il generale Della Rovere» è una coproduzione Rizzoli Audiovisivi-Rai Fiction. Il produttore Angelo Rizzoli fa notare i suoi precedenti: ha pubblicato il racconto di Montanelli, prodotto il film di Rossellini e prodotto ora la mini serie per Rai1. «La storia del cinema e della tv è ricca di remake. È una polemica sterile. Ma - dice Rizzoli - è importante a livello educativo proporre in televisione opere letterarie che nessuno leggerebbe più. Se si chiede in giro, oggi, il film di Rossellini non lo ha visto nessuno». Interamente girata a Sofia, dove è stato possibile ricostruire una Genova e una Milano anni Quaranta, la fiction vede tra gli interpreti anche Raffaella Rea nel ruolo di Olga, la prostituta che, nel film di Rossellini, era impersonata da Sandra Milo e Andrea Tidona nei panni di un compagno di detenzione di Della Rovere. La fiction, comunque, ha la benedizione del figlio di Roberto Rossellini, Renzo, che ha lavorato come assistente del padre, anche nel Generale della Rovere: «La rilettura di Carlei mi è piaciuta molto, certo ha una regia diversa da mio padre che era molto asciutto. Detto questo non comprendo questa polemica sui remake. Ben vengano se fatti bene, anche perché è un modo per far rivivere le pellicole del passato. Di certo non dobbiamo tenerli tutti al cimitero questi mostri sacri».Benedizione che Roberto Rossellini non ebbe invece da Montanelli. Il racconto del giornalista termina con il falso generale che, davanti al plotone d'esecuzione, grida «Viva il re!» Il rosso Rossellini lo sostituì con un politically correct: «Viva l'Italia». E questo al battagliero giornalista di Fucecchio non andò mai giù.