Nobel al canto di Tranströmer
«Roligt»,divertente. E la ripete quando ascolta i pettegolezzi, atteggiando la faccia al sorriso. Poco altro dice il poeta «Tumas», che ieri ha avuto la notizia che aspettava da decenni, la vittoria nel Nobel per la Letteratura. Perché da vent'anni un ictus lo ha reso muto e allora per lui parla la moglie. Ma «roligt», divertente, glielo avevamo sentito scandire tra i brindisi delle Distillerie di Percoto, che davano un brivido in più al suo Premio Nonino (Per la cronaca, i Nonino portano bene, hanno anticipato con il loro alloro altri due Nobel, Rigoberta Menchu e V.S. Naipaul). Era il 2004 e a Tranströmer domandammo perché Stoccolma non gli aveva ancora dato l'alloro più ambito, a lui che è il massimo poeta scandinavo, tradotto in tutto il mondo. «Non lo so», tagliò corto pensando alla fissazione per il politically correct degli Accademici svedesi, in quegli anni squassati dai veleni che avevano portato a denunce e dimissioni del segretario del Premio. Ieri invece Tranströmer è stato diretto. «Non me l'aspettavo più» ha fatto dire in sua vece alla moglie. La telefonata è arrivata nella sua casa di Stoccolma, dove il poeta è nato nel 1931 e dove è tornato all'inizio degli anni Duemila. Un appartamento di tre stanze, a un piano alto, da dove si vede il mare. Tranströmer lo adora, il mare. L'estate la passa a Rümmaro, nell'arcipelago che ispirò Strindberg. E il viaggio di nozze, nel 1958, lo fece in Italia, circondata dall'azzurro. Il nostro Paese gli ha dato non solo sensazioni ma input intellettuali e sodalizi culturali. «Al ginnasio dovevamo tradurre Orazio, mi interessavano le forme latine - ci raccontò nell'incontro friulano - Poi l'endecasillabo dantesco. E ancora, tra i vostri autori, Quasimodo, Calvino, Montale, Ungaretti, Mario Luzi». Fu proprio quest'ultimo a far scoprire in Italia (anche se a una ristretta cerchia) la poesia dello svedese. Era il 1999, il poeta fiorentino favorì la prima traduzione di Tranströmer nella nostra lingua. Il volume si intitola «Poesie», era tradotto da Giacomo Oreglia, massimo conoscitore della poesia scandinava, e pubblicato dal Centro Mondiale della Poesia Giacomo Leopardi, creato appunto da Luzi. «Tomas Tranströmer potrebbe esser vissuto in qualsiasi secolo, da quando sono nate le lingue romanze o volgari, e le sue poesie sarebbero "sentite" come oggi dai lettori più diversi per origine ed educazione in un tempo e in uno spazio così multiforme», scrive Stanislao Nievo della prefazione. La mano passò all'editore Crocetti, lo stesso per il quale tra quindici giorni uscirà una nuova raccolta del Nobel per la Letteratura 2011. Si chiama «Il grande mistero», sono haiku svedesi. Già, gli haiku. C'è la tecnica dei brevissimi e intensi componimenti giapponesi nella scrittura di Tranströmer. Ci sono le terzine, la metrica classica, il verso saffico. Poesie tanto più corte quanto più semanticamente dense e con un magistrale uso della metafora. Eccone due: «La Svezia è una nave in disarmo,/ tirata a secco». «L'attimo si fa scuro/ e rimane come il segno dell'accetta in un ceppo». Una rincorsa verso il senso ultimo dell'esistenza, consapevole della religiosità immantente nell'animo. «Non sono un mistico, Dio l'ho visto passare velocemente di lato. E a volte non sono sicuro nemmeno di questo», svela «Tumas». È questo anelito ad avergli forse aperto le porte del Nobel a 80 anni, quando non se l'aspettava più e i bookmaker lo davano vincente a una somma più che invitante. Commenta Valentino Zaichen: «Un bel segnale, ora che la poesia svedese ha abbandonato l'impegno brechtiano, diventando più attenta a sentimenti ed emozioni. Del resto, quando la Storia si inabissa, si torna a se stessi». E plaude un'altra nostra voce poetica, Valerio Magrelli: «La giusta risposta al delirio di proporre al Nobel un cantautore come Bob Dylan». Del resto proprio la cifra intima allarga i fan di Tranströmer. Tra questi, il giallista superstar Bjorn Larsson. Il quale rivendica la sua profezia: «L'Accademia ha fatto una buona scelta, il Nobel 2011 non è un autore solo per chi ama la poesia. C'è un ritorno per i versi. La gente è stanca dei gialli e io non a caso ho intitolato il mio ultimo romanzo "I poeti morti non scrivono gialli"», si vanta evocando il libro pubblicato in Italia da Iperborea. La capacità di parlare al cuore della gente viene a «Tumas» sicuramente dal suo primo lavoro. Perché non ha vissuto di letteratura, il Nobel 2011. O perlomeno - come la maggior parte dei poeti - non ci ha campato. Di professione ha fatto lo psicologo. Ha anche un'altra passione, la musica, come testimonia il pianoforte a coda piazzato al centro del suo studio. «Ascolto musica tre, quattro ore al giorno. Almeno un'ora la suono - ci ha raccontato in un biglietto - Scelgo composizioni per mano sinistra, ce ne sono almeno cinquecento. Eccezionale quella di Ravel». Se poi gli si chiede che cosa - poesia, musica, psicologia - lo ha preso di più, risponde: «Da adolescente suonavo, a quattordici anni scelsi la letteratura. Ma mantenermi con le recensioni, come molti amici, non mi piaceva. Divenni psicologo. E mi sono domandato molte volte come scendere nell'animo umano abbia contribuito alla mia scrittura». Però la sua scrittura scende nell'animo umano.