Io, cristiano sfibrato dal dubbio
La crisi del pontificato di Ratzinger, lo scadimento morale E la speranza che si completi la rivoluzione del Vaticano II
Èdiventato vicedirettore dell'Osservatore Romano. Ha vissuto quotidianamente il travolgente pontificato di Wojtyla. Viaggi, incontri, sfociati anche nella collaborazione con Giovanni Paolo II per il libro «Dono e mistero». E di libri ne ha scritti altri, come «Storia di Karol» diventato film, e «Una vita con Karol», cui ha lavorato con il segretario del papa polacco ora arcivescovo a Cracovia, Stanislao Dziwisz. È un cattolico tra i più entusiasti del raccordo della Chiesa con l'apostolato laico. E del legame con il mare magnum dei fedeli, la ricchezza vera del cattolicesimo. Ma adesso è «un cristiano in crisi». E lo scrive sulla copertina di un libriccino lieve di peso ma grave nel contenuto e fin dal titolo, che l'Autore ha fortissimamente voluto bussando alla porta di troppi editori prima di trovarne uno coraggioso. «Mal di Chiesa» è un pamphlet, un atto di accusa e di indignazione di chi vede stritolata la cupola di San Pietro, ondivaga la Curia romana, massacrato troppe volte il Papa di oggi. È vero, avverte Svidercoschi, la crisi viene da lontano. È cominciata quando la Chiesa doveva rilanciarsi nella revisione del Concilio Vaticano II. Che poi non è stato attuato compiutamente, che si è scontrato con il relativismo, la politicizzazione latinoamericana, gli scandali dello Ior e di altri poco limpidi affari combinati Oltretevere. Ma insomma, il canto alto di Wojtyla, il rovesciamento della Storia avviato dalla caduta del Muro di Berlino, aveva dato ali al soglio di Pietro. Invece è un veliero troppo spesso squassato dal vento quello sul quale naviga Benedetto XVI. Lo sbatacchia lo scandalo dei preti pedofili, la mina vagante degli scismatici lefebvriani, gli impicci con i disonesti della finanza, con i galoppini che maneggiano soldi. Allora Svidercoschi prova a mettere ordine nei suoi pensieri di cristiano preso da «incredulità, sconcerto, sdegno, pena, una grande pena, e fortissima rabbia». E viviseziona il pontificato di Ratzinger, che il fardello della crisi si porta addosso. Una delle tesi forti del libro è che la Chiesa di Benedetto XVI più che nemici esterni - gruppi politici ed economici che orchestrano campagne mediatiche prendendo spunto per esempio dai casi di pedofilia - abbia nemici interni. Mal lo consigliano, come nel caso della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani giunta all'indomani del proclama negazionista di uno di loro che costringe Benedetto XVI a svelare: «Mi è stato detto di seguire le notizie mediante Internet...». Martella Svidercoschi: «Che significa infatti se un Papa arriva a dire di avere scoperto che nell'ambiente ecclesiale "può essere pure lui trattato con odio senza timore e riserbo?". Che significa se sempre Benedetto XVI, esploso il problema della pedofilia in Irlanda, scrive direttamente ai cattolici di quel Paese, saltando così l'intero episcopato?». E ancora, che significa se il pontefice tedesco trova vette di popolarità quando esce dalla Curia, come nel viaggio negli Stati Uniti? È chiaro, il nodo è nel sistema - nel «sistema clericale» via via degenerato - e non nella figura del pontefice. Come in un refrain Svidercoschi ripete: «Non poteva essere che lui, il nuovo Papa». Diversissimo da Wojtyla, come era giusto che fosse (e fu una gaffe madornale, anche in questo caso interna al Vaticano, affermare che con Karol la gente andava a vedere e con Joseph ad ascoltare). Ma a lui vicinissimo nel sentire la missione della Chiesa al servizio di Dio e degli uomini. Wojtyla l'aveva voluto come principale spalla e parve investitura divina la celebrazione dei funerali del papa polacco che aveva conosciuto il nazismo da parte di quello che sarebbe stato il papa tedesco, cresciuto nel nazismo. Il conclave che lo elesse al quarto scrutinio (i primi tre mostrarono subito l'orientamento dei 115 cardinali chiusi nella Sistina) è stato - osserva l'Autore - «il più rappresentativo e diversificato della Storia» con solo la metà degli elettori europei. Eppure la scelta fu netta. A favore di colui che era stato qualche anno prima irriso come «Panzerkardinal» per l'altolà alla teologia della liberazione. C'è molto da sfatare su Ratzinger. Non è un pontefice lontano dal suo popolo, ma sa parlare con le proprie pecore, come ha appena mostrato a Madrid, nella Giornata Mondiale della Gioventù. Il cristiano in crisi Svidercoschi ha sete di quelle parole, come di quelle di Giovanni XXIII, che aprendo il Vaticano II esclamò davanti a piazza San Pietro gremita: «Si direbbe che anche la luna si è affrettata stasera. Guardalela là in alto». Il cristiano in crisi spera che la Chiesa ritrovi il «coraggio di cambiare, di purificarsi, di riformarsi». È la Chiesa che vorrebbe anche un non credente duro e puro come Adriano Sofri che firma la postfazione al pamphlet. Certo, non accetterà mai la crociata contro la «dittatura del relativismo» perché «le dittature sono assolutiste» e perché «il non credente non può rinunciare a una misura del relativismo». Però vagheggia - da esterno - una Chiesa che viva la povertà evangelica. Una Chiesa delle Beatitudini.