Ermanno Olmi «Essere ricchi oggi è un vero crimine»

Giàapplaudito (fuori concorso) alla Mostra di Venezia, «Il villaggio di cartone» (da venerdì distribuito da 01 in 80 sale), racconta la storia di un vecchio parroco (Michael Lonsdale) la cui Chiesa viene dismessa. Viene svuotata di tutti gli arredi sacri, compreso il grande Crocifisso sopra l'altare, restano solo le panche in uno spazio vuoto. Ma l'anziano prete non vuole rassegnarsi alla sorte della sua Chiesa, mentre il sacrestano (Rutger Hauer) accetta la realtà. Poco dopo, un gruppo di clandestini in cerca di rifugio entra nella chiesa e, con panche e cartoni, vi installa un piccolo villaggio. Il prete vede così la sua parrocchia riprendere vita, ma dall'esterno la legge non approva e contrasta quell'insediamento. Così, l'ottantenne regista cattolico ha aperto una nuova sfida, quella legata all'immigrazione del Terzo Millennio. – Maestro Olmi, come è nata l'idea di questo film? «Nonostante quattro anni fa abbia annunciato il mio ritiro dal cinema, ora sono tornato, ed è stata una disgrazia per voi e per me. Avrei voluto realizzare un documentario sulle civiltà del Mediterraneo, ma una caduta mi ha costretto a letto per 70 giorni. Lì è nata l'idea della Chiesa come luogo di raduno di culture diverse». – La Chiesa del suo film, svuotata di orpelli, è il simbolo della liberazione dal materialismo? «Il Cristianesimo è stata la più grande novità nella storia dell'umanità. E il mio personaggio è un sacerdote che si trova a dover ospitare improvvisamente un gruppo di immigrati clandestini. Come si muovono le merci, così si muovono i popoli. È stupido pensare che potremmo fermare questo movimento di popoli perché è la storia che lo impone. Dobbiamo solo comprendere questa nuova idea di civiltà. Mi auguro che oggi i nostri sguardi vadano oltre e riconoscano tutte le persone uguali, al di là del colore della pelle. Avremo allora la possibilità di dare vita a un nuovo Rinascimento: quando venne scoperta l'America gli sguardi, prima puntati sul Mediterraneo come crocevia di culture, si volsero verso l'oceano». – Eppure, c'è una realtà drammatica, quella di Lampedusa, che nell'accogliere gli immigrati crea agli isolani disagi e incertezze... «Siamo alla vigilia di un grande cambiamento, ci siamo arrivati in ritardo per correre appresso alla ricchezza. Ma se non cambiamo noi sarà la storia a cambiarci, non si può impedire questo movimento di popoli, come ho già detto, lo impone la Storia. Lo stesso vale per gli sbarchi a Lampedusa. Nel '44 quando a Roma era arrivata con gli americani la fine della guerra, al Nord c'erano ancora conflitti tra civili. Ora tocca agli abitanti di Lampedusa, che per anni hanno vissuto tranquillamente, pescando e godendosi il mare. Non si può certo dire agli immigrati: "D'ora in poi sbarcate a Rimini". Il mondo va avanti con le sue ragioni che nessuno può fermare. Senza dimenticare che spesso siamo disposti a fare carità ai bambini che stanno in Africa, ma poi quando arrivano fin qua siamo pronti a rispedirli a casa. La solidarietà non è solo quella della Caritas, ma significa dire a qualcuno: "Vieni a casa mia". Solidarietà è aiutare qualcuno non perché ha bisogno, ma perché lo sentiamo amico». – Il film apre con l'immagine dolorosa di un Crocifisso dismesso dalla parrocchia: qual è ora il ruolo della Chiesa? «Dobbiamo prima di tutto chiederci a che punto è la democrazia, dopo 2.700 anni, dal momento in cui questo termine venne per la prima volta usato nell'isola di Chio. Oggi portatemi un solo esempio di Paese democratico, intendo dire con una democrazia partecipata. Diffidiamo di coloro che dicono: "Ci pensiamo noi". Tendiamo sempre più ad unirci in gruppi di forza, ma invece dovremmo una volta per tutte abolire le chiese, tutte le chiese: cattoliche, religiose, musulmane, laiche, ideologiche, politiche, economiche o culturali, per poi esercitare la nostra facoltà di soggetti liberi. Anche se la libertà ha un prezzo altissimo, si paga sempre con la solitudine. Quando Cristo chiamò Pietro per fondare la Chiesa non intendeva certo una cattedrale architettonica, ma la Chiesa nella sua essenza. Tutti gli esseri umani formano una Chiesa. La Borsa di Milano non è forse una chiesa con al centro il dio denaro? Sono strutture nelle quali troviamo rassicurazione, perché ci consentono di non decidere, di non assumerci alcuna responsabilità, propongono idoli e rendono tutti noi asserviti all'idolatria. Quando noi tutti affronteremo davvero il discorso della libertà individuale, allora arriveremo al vero senso della democrazia: perciò, dobbiamo liberarci di tutte quelle Chiese che promettono di gestire la nostra democrazia». – Il suo modello ideale resta dunque solo quello cristiano? «Non c'è dubbio, anche perché è la sola grande vera novità della Storia. Ma mi rendo conto che è anche un modello irraggiungibile. Eppure, non riesco a togliermi quel Crocifisso dagli occhi: è un'ossessione che occorre accettare, come quella dell'innamorato. Ma quando l'ossessione dell'innamorato si trasforma da un'icona sognata alla realtà dell'atto d'amare, ecco che l'ossessione diventa liberazione. Amare è un verbo che libera, ma non deve farci perdere il senso della realtà». – In che modo i nostri cuori potrebbero perdere il senso della realtà umana? «Pensate al Papa e al suo recente discorso di qualche giorno fa sugli angeli. Io credo agli angeli e ne ho incontrati tantissimi nella mia vita, ma non sono certo quelli che sbattono le ali e vengono dal cielo. Sono semplicemente persone che mi hanno allungato la mano nel momento in cui avevo bisogno di conforto e rassicurazione. In questo senso, gli angeli abitano dentro di noi, mentre quelli celestiali li vedono solo i neonati quando sorridono». – Qual è la strada per avvicinarsi sempre più ad un modello di vita cristiano? «Occorre essere realmente solidali con tutti. E credo che essere straricchi, per quanto poi si assolvano tutti i doveri, compresi quelli della beneficenza e del fisco, sia un vero crimine, perché si sottrae ricchezza a quanti hanno davvero bisogno».