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«Ecco il varietà alla romana»

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diTIBERIA DE MATTEIS È un omaggio sentito alla Capitale, lo spettacolo «Passeggiate romane» con cui Enrico Montesano celebra, da stasera al 30 ottobre, i cento anni della Sala Umberto, ripercorrendo la storia del varietà, fra incontri artistici e ricordi personali. Il repertorio comico dei talenti passati sul palcoscenico di Via delle Mercede riprende vita e colore grazie a un interprete fedele ed entusiasta della romanità nella sua espressione più schietta e creativa. Quando ha capito di appartenere alla tradizione scenica capitolina? «Sono cresciuto al rione Monti. Accompagnavo mia nonna Bianca al mercato di Via Baccina, dove lei mi mostrava la casa di Petrolini, situata proprio di fronte. Sono andato a scuola all'"Angelo Mai" e d'estate andavo agli spettacoli di Checco Durante in Via Panisperna. Ho frequentato poi la scuola media nella sede distaccata del "Visconti" di via degli Astalli nel palazzo Altieri in cui abitava Anna Magnani. Con i compagni ci affacciavamo alle finestre dei corridoi per vederla entrare o uscire dal cortile». Non si poteva scegliere attore più adatto a ricostruire un secolo di romanità? «Modesti a parte! Rispondo come Petrolini. Mi permetto di raccontare Roma dal mio punto di vista e con la mia esperienza. Ho scoperto di aver avuto tanti incontri curiosi che mi hanno segnato. Ho abitato in piazza del Teatro di Pompeo quando Gabriella Ferri, che io ancora preferisco chiamare Lelletta, era a Campo de' Fiori. Ci incontravamo a Vicolo della Campanella e abbiamo recitato per il Bagaglino di allora in "Tiette la cicca" che in romano significa "bocca chiusa", come si fa quando si serrano le labbra per non far cadere la sigaretta. Era un evento di cabaret in cui lei si era reinventata "Dove sta Zazà", che successivamente avrebbe portato sul piccolo schermo. Dedico il finale dello spettacolo a Via Margutta, dove ho avuto per dieci anni uno studio che ora per vicissitudini familiari ho dovuto cedere con molto rammarico». Come le appare Roma oggi? «Ne denuncio proprio in questo spettacolo le storture e le aberrazioni. Mi permetto di parlare in romanesco perché è un evento che si svolgerà soltanto a Roma. Sconvolgono le notizie continue sulle sparatorie che si verificano; una volta i romani "annavano de cortello"!. "Er meglio amico mio ce l'ho in saccoccia" scriveva Pascarella. Adesso Roma va vista di notte. L'orario ideale è verso le tre di mattina, quando puliscono le strade. È una città che si "nasconne" e allora mi piace fissare la sua memoria per non mandarla persa». Qual è, comunque, il fascino irresistibile della Città Eterna? «Romani si diventa, se si vuole. Roma bisogna viverla, non abitarci semplicemente. Possiede la macchina del tempo: i suoi muri sputano storia! Basta fermarsi un attimo a osservarla, studiarla e capirla. Se ti guardi intorno da un tram torni indietro di duemila anni!». Cosa andrebbe cambiato in una metropoli così unica? «Solo due ministeri vogliono portare via? Ma decentriamo! Già ci sono sufficienti il Papa, il presidente della Repubblica e il sindaco. È pure troppo. Roma ha una vocazione turistica e culturale, è in quest'ottica che andrebbe ripensata e preservata. Se fossi il sindaco comincerei a togliere i paletti dai marciapiedi: è tutto un paletto!». Ai fans regala qualche suo personaggio in «Passeggiate romane»? «Ripropongo Torquato il pensionato e la romantica donna inglese che trova ogni barbarie molto pittoresca. Recupero il matematico di Maldacea interpretato da Rascel e ripesco uno sketch dei fratelli De Rege presentato da Dudu e Coco».

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