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di RAFFAELE IANNUZZI La nostalgia è un sentimento mortifero.

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Puraanti-storia. Ecco, il libro di Giovanni Di Capua e Paolo Messa, Dc. Il partito che fece l'Italia - recentemente pubblicato nella collana della rivista "Formiche" -, di contro, sceglie felicemente la strada dell'indagine storico-politica. La prefazione di Giulio Andreotti segna il metodo: la lettura "non occasionale" di "ciò che accade giorno per giorno", considerando "tutto come correlato, come attraverso una tela di ragno che ti consente di cogliere il senso profondo delle cose che accadono e che passano". Perché la politica necessita di "un punto di riferimento - incalza Andreotti - che vada oltre l'occasionale", poiché, altrimenti, "è quasi impossibile creare un nuovo soggetto politico". Un recente contributo dell'andreottiano Paolo Cirino Pomicino disegna contorni analoghi: "Il pensiero democratico-cristiano, alimentato dal variegato mondo cattolico dell'associazionismo, del volontariato, del sindacato e di movimenti religiosi, è una delle culture politiche necessarie per ricostruire un'Italia diversa". Stessa analisi di De Rita: questo variegato mondo costituisce la precondizione della storia come apertura al futuro. Così - conclude Andreotti - "guai a ritenere di essere all'inizio della creazione". Ma il deserto del reale può fornire la chance storica per riaccendere l'impulso generativo a ricomprendere l'essenziale. La Dc - ecco la tesi del libro - è quel "partito cristiano", per dirla con Baget Bozzo, che ha fatto la storia d'Italia. Di più: è la storia d'Italia. Da Sturzo, passando per De Gasperi fino a De Mita, l'incedere dell'analisi costruisce la gigantografia del partito cristiano nel paragone con le vicende storiche e politiche. Tutto è Dc. Il resto è satellitare rispetto alla forma-Dc. Il che, nella sua estremizzazione intellettuale, spinge a ripescare nella memoria individuale i segni delle differenze rispetto a questo mondo. Dialogica, oggi, però, non più dialettica. Perché il grande mondo della politica non c'è più. Bettino Craxi è stato l'avversario più ostinato della Dc di De Mita e da un luogo del tutto istituzionale, reso spartiacque politico: il governo. Ma, fin dal 1978, nei giorni del rapimento di Aldo Moro, dalla crepa nel fronte della "fermezza", emerse un leader a tutto tondo di stampo nuovo e tutt'affatto altro dal paradigma Dc. È la differenza antropologica ad aver creato nuova storia. La Dc si è trovata di fronte il carico dell'occasionalismo decisionistico craxiano, che non è mai stato - come scrivono gli autori - retorico, ma di pura sostanza drammatica, come drammatica è in sé la politica. Ecco perché mezzo libro è dominato da Craxi. Il laico socialista che firma il Concordato non è affatto un "laicista", ma un uomo "di cultura cattolica", come mi disse Baget Bozzo anni fa, a Genova. Solo un laico di questo peso avrebbe potuto fare il nuovo Concordato con la Chiesa. Lo stesso laico che trova l'accordo, in funzione anti-demitiana, con Cl - e non civettando con i cosiddetti "integralisti": abolirei francamente l'ismo in oggetto, sempre in bocca agli uomini della Base, la sinistra Dc - un accordo, anche perché il mondo cattolico-popolare trova la strada tutta italiana tracciata proprio da Pomicino, e in questo aureo e interrotto sentiero cammina il futuro del Paese. La sussidiarietà si accosta, per sua natura, alla felice endiadi, "meriti e bisogni", formulata da Craxi, agli inizi degli anni Ottanta, a Rimini. E proprio Rimini ospita l'unico fatto culturale universalmente rilevante in Italia. Un fatto davvero "cattolico". Secondo l'etimo: "universale". Spezzato violentemente questo filo, col golpe bianco di Mani pulite, e rimesso in circolo il becero e diciannovistico moralismo, la politica ha cessato di farsi storia, ritrovandosi, d'un balzo, nel Nuovo - e falso - Inizio in 3D: ogni prospettiva è quella giusta, a condizione di avere veleno da scaraventare sul nemico, inventandosene uno, alla bisogna. L'epilogo è segnato già con il celebre discorso di Craxi alla Camera, con i poteri forti che decidono chi debba andare a Palazzo Chigi e, infine, con la debolezza dell'ultimo liquidatore della Dc, Martinazzoli. "Gli avvertimenti e le profezie di Moro prima e di Cossiga poi non erano state prese sul serio". La radice della crisi italiana è già, in nuce, in quel dannato 1978, e Cossiga, grande amico di Craxi, e quest'ultimo - grande lottatore personalista pro Moro a fronte della Dc della cosiddetta "fermezza" - sono i pezzi di un mosaico autunnale, ancora da ricostruire. Certo è che, se Craxi avesse avuto dalla sua la grande industria - come sostengono Di Capua e Messa - la storia italiana sarebbe andata diversamente. Sul sangue di Craxi è morta l'intera sinistra e la Dc ha dovuto fare della sua carne storica una fenomenologia della sconfitta. Il deserto attuale è figlio di questo duplice lutto, non ancora elaborato.

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