Il regalo più bello di don Lillio
Lofarò entro la fine del centocinquantesimo dell'Unità d'Italia. Non l'avrei mai presa, questa decisione, se non fosse avvenuta la beatificazione di Pio IX». Il principe Sforza Ruspoli, «don Lillio», sillabò queste parole un anno fa, mentre sorseggiavamo un tè nel salotto preferito del suo palazzo romano. Chiacchieravamo davanti al ritratto di Cosimo de' Medici del Bronzino e alla mensola dove don Lillio allinea le foto che gli piacciono di più: lui con Margareth Tatcher, con papa Wojtyla, con Benedetto XVI. Ovvia la mia curiosità: «Principe, ma dove la conserva questa reliquia?». E lui, con un lampo negli occhi: «È avvolta in un lenzuolo e poggiata in una cameretta guardaroba adiacente alla mia camera da letto. Così ogni mattina, appena mi sveglio, la posso controllare». La missione di Sforza Ruspoli - severo quanto cordiale nei suoi 84 anni - si compie giovedì prossimo, 29 settembre. Un giorno speciale per il Vaticano. La Chiesa celebra San Michele, l'arcangelo con la spada. Che è protettore della Gendarmeria Vaticana. La festa è una sorta di parata militare che si svolge nel cortile della Caserma in Vaticano. «Non certo imponente come quella dei Fori imperiali - scrive Angela Ambrogetti sul notiziario on line dedicato alle attività della Santa Sede - ma con più storia e curiosità da scoprire». E la storia che intreccia la bandiera pontificia di Porta Pia al blasone dei Ruspoli è suggestiva. Dunque, quella mattina del 20 settembre 1870 - quando i Bersaglieri a suon di fanfara, di spari di fucile e di cannonate aprirono un varco nelle Mura Aureliane e di fatto deposero il Papa Re decretando la fine dello Stato Pontificio - la bandiera gialla e bianca con il triregno e le chiavi decussate fu ammainata presto da Porta Pia. Pio IX optò per una resistenza poco più che simbolica. Giù dunque lo stendardo sforacchiato dalla battaglia nella quale morirono 19 zuavi pontifici e su, in cima alla cupola di San Pietro, la bandiera bianca della resa. Il drappo della sconfitta cadde nel giardino della villa dove abitava la principessa Cristina Ruspoli, moglie di Napoleone Carlo Bonaparte, nipote del fratello dell'imperatore. La pia e nobile donna lo raccolse. E il vessillo divenne più che un gioiello in casa Ruspoli, che lo ha custodito gelosamente per 141 anni. Don Lillio - che ogni anno, il 20 settembre, si reca a Porta Pia a onorare la memoria dei 19 caduti pontifici - è muto in questi giorni di vigilia del significativo gesto. Ma del legame a doppio filo con il Vaticano parla la storia del suo casato. Ha dato i natali a otto pontefici, tenendo conto dei rami in essa confluiti dei Conti di Segni e di Tuscolo e dei Marescotti (discendenti da Mario lo Scoto e diventati tout court Ruspoli per volontà di una Ruspoli che costrinse lo sposo Marescotti a prendere il cognome della propria famiglia). Tra i papi di famiglia, quell'Innocenzo III immortalato da Giotto nella Basilica di Assisi e che istituì l'Ordine Francescano. Ruspoli anche una santa, Giacinta, nata nel Castello di Vignanello a Viterbo nel 1585 e morta nel 1640. «È la protettrice dei poveri, dei carcerati, degli emarginati», ama ripetere Sforza. Il quale nel 1990, dopo essere entrato da indipendente eletto nelle liste del Msi nel Consiglio Comunale di Roma con 37 mila preferenze, ottenne nell'Aula Giulio Cesare l'unanimità per il restauro di un grande edificio seicentesco in via Casilina Vecchia 19 e per la sua destinazione a ricovero dei barboni. Un'operazione portata avanti con don Luigi di Liegro e cresciuta negli anni. Nella Casa intitolata a Santa Giacinta, gestita dalla Caritas, sono ora ospitate 150 persone senza fissa dimora, rifocillate quotidianamente centinaia di altre, accolte nelle enormi docce altre ancora che poi vogliono ritornare in strada. Non c'è solo la fierezza di appartenere alla storia di Santa Romana Chiesa, in don Lillio, che ha visto suo nonno Alessandro essere l'ultimo Gran Maestro dei Sacri Palazzi in Vaticano. C'è anche la lealtà, continuamente rivendicata, allo Stato Italiano. «La mia famiglia ha dato alla Patria due eroi - ricorda spesso il principe di Cerveteri - Sono Costantino e Marescotti, morti ad El Alamein con altri settemila della Folgore. Mio padre Francesco partì volontario a 17 anni per Col di Lana ed era la Prima Guerra Mondiale. Nella Seconda, fu al comando degli S.79 Savoia Marchetti. E non va dimenticato Carlo Ruspoli, che comandò i caccia Macchi C 200». Ci tiene, don Lillio, a sottolineare il patriottismo dei Ruspoli. L'anno scorso a Porta Pia, per i 140 anni della Breccia, mi disse: «Non sono certo nostalgico del potere temporale dei Papi. Ma l'unità dell'Italia si ottiene non compiacendosi di coloro che spararono ai soldati del Papa e dimenticando anche i nomi di quanti tra loro morirono. Si ottiene rispettando la verità storica». Anche di quello che avvenne a Roma la mattina del 20 settembre 1870. E che la sua bandiera piena di buchi documenta.