«La traccia dell'angelo» sul dramma del dolore
Tuttala famiglia è intorno all'albero, il piccolo Morfeo è rannicchiato sotto una finestra. "Pesante come una bara", una sgangherata persiana, "stanca della vita", precipita e colpisce il bambino in mezzo alla testa. Un colpo tremendo che lascerà un trauma incancellabile. Ma, "bello", il mondo fuori lo accoglierà all'uscita dell'ospedale. Un impasto linguistico immaginoso, secco e ilare, travolgente nei passaggi da un episodio all'altro e limpido nella cura del dettaglio sul punto di deformarsi, inanella le cadenze anomale, tra urti del reale contraffatto e immalinconita sapienza, di «La traccia dell'angelo» (Sellerio, pp. 125, euro 111) di Stefano Benni, gestendo una quotidiana luce media da cui trapelano le fosforescenze perverse e le discrete favole giornaliere tipiche della produzione dello scrittore (a partire dall'inquietante Il bar sotto il mare). Gli anni che trasportano una miscela di schegge di verità e di mistero ci consegnano un Morfeo ormai adulto che, spinto dall'ossessione di diventare uno scrittore, si immerge in "interminabili maratone sui fogli" spingendo ogni pensiero verso l'"oscurità della notte". Come in un delirio, il paesaggio si popola di insoliti fatti frullati nel grande contenitore della guerra tra il bene e il male, dove la pagina raggiunge il massimo della visionarietà nella figura dell'angelo caduto. Passano, convulsi e insieme chiari, sfondi e personaggi: una città avvolta nella nebbia; il padre Giobbe, un "brandello di vita" che tenta il suicidio; la moglie Angedia, "a caccia dell'uomo speciale che l'avrebbe portata dentro una telenovela"; l'amatissimo figlio e musicisti, operai, medici, una silenziosa ragazzina bionda e, in primo piano, Morfeo ricoverato in clinica con le illusioni perdute, pronto a misurasi ancora con la malattia e con la determinazione di sganciarsi dal devastante "dominio chimico". Dimesso, è come l'"abitante di un altro pianeta caduto sulla terra", ancora in preda alle paure ma in storie che "devono continuare". Attratto dalla presenza di qualcosa d'altro, di metafisico, l'autore ausculta quell'onda in più di risonanza che, pur sfuggente e metamorfica, ha nell'esistenza umana un peso insostituibile. A rendere questa complessa dimensione enigmatica opera lo strappo sonoro della parola dalla quale la scrittura è come spinta a lacerarsi e a rilanciarsi subito, ricca di un nuovo fardello di fantasmi.