Quando Eschilo sale in cattedra
Dei film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia "Carnage", di Roman Polanski è rimasto all'asciutto di premi, causa verosimilmente gli infamanti guai giudiziari del regista. Ma la risposta del botteghino, comre avviene spesso, ribalta il giudizio della giuria. Il film è secondo al box office e distanzia parecchio le altre pellicole presentate al Lido. Eppure «Carneficina» è il contrario dei film di cassetta. Niente effetti speciali, niente scene spettacolari, niente scenografie pompose, niente colpi di scena. Niente di niente. O, piuttosto, uno dei capisaldi della drammatugia. L'unità di luogo e di tempo, che con quella di azione forma il canone della narrazione e del teatro greco classico. Eschilo e Sofocle si sono piegati alla gabbia codificata da Aristotele. Il filosofo ateniese nella Poetica fu fermo nel dire che "la favola deve essere compiuta e perfetta". Ovvero, deve sottostare al giogo dell'unità: svolgersi in uno stesso luogo, in un arco di tempo breve - al più dall'alba al tramonto - e avere inizio, svolgimento e fine, senza disperdere in rivoli secondari il tema principale. Il teatro si è nutrito e si nutre ancora del canone, rilanciato poi nel Cinquecento: la Locandiera di Goldoni ne è un esempio, ma anche i lavori di Pirandello, di Pinter. E avviene anche nella drammaturgia contemporanea, che approda alla scena unica, con pochi agonisti. Copenaghen di Frayn con tre soli attori sul palco (Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice) ne è una prova. E ha avuto grande successo. Al cinema l'approdo al rigore delle tre unità aristoteliche è meno frequente. Ma vi ci sono esercitati maestri come Igmar Bergman (ecco le stanze di ospedale di Alle soglie della vita) o Woody Allen (la tenuta di campagna di Settembre). Su tutti, nel gioco della storia che procede con un crescendo di suspense con il minimo degli orpelli, Alfred Hitchcock. In I prigionieri dell'oceano la macchina da presa non esce mai dalla scialuppa che tiene relegati i protagonisti. In La finestra sul cortile ha più vita James Stewart immobilizzato su una sedia a rotelle di tutta la minima umanità che popola il palazzone scrutato dalla sua finestra. Dogville di Lars von Trier incatena Nicole Kidman su un palcoscenico che deflagra simbolicamente nelle linee di gesso segnate sulle tavole e corrispodenti ai luoghi più importanti della città. E Carnage? Qui la scena fissa è un salotto borghese e perbenista degli States. Vi agiscono due coppie nell'intento di comporre civilmente la controversia nata dal fatto che il figlio undicenne di una ha ferito in faccia con un bastone il ragazzino dell'altra. Il sussiego, le buone maniere, il narcisismo intellettuale - la padrona di casa ostenta sul tavolino tra i divani libri d'arte a mo' di soprammobili, raramente sfogliati - perfino il caffè e la torta alla frutta inacidiscono presto, mutandosi letteralmente in vomito. Egoismo, egocentrismo, prevaricazione, incapacità di ascoltare l'altro, superficialità trapelano a mano a mano che il dialogo, da mellifluo, diventa velenoso. L'isteria e la violenza repressa affiorano a poco a poco nel ring di pochi metri quadrati che è appunto quel salotto. Jodie Foster - la mamma acculturata che scrive libri sul Darfur e porta i figli alle mostre d'arte perché, afferma snob "crediamo al potere pacificante della cultura" - diventa alla fine una maschera di nervi a fior di pelle, arida come le labbra sottili. La furia - non un coltello in mano, ma piccoli gesti violenti come pugni - si scatena tra moglie e marito. E l'altra coppia, con l'indifferenza sarcastica di lui e i conati di vomito di lei, non è da meno. Polanski indugia spietato sui primi piani, soffoca le facce con la macchina da presa, sorregge la soave ironia con il testo di Yasmina Reza, quel "Dio della carneficina" che a teatro è stato affrontato da Ralph Fiennes e Isabelle Huppert. Adesso lo pubblica Adelphi. Leggere il dialogo, in una lingua volutamente media, dell'autrice francese è raschiare la quotidiana civiltà trovando in fondo la barbarie. Un massacro in agguato nella porta accanto, capace di aggredire nell'arco di un'ora. Sferzante apologo esaltato dalle unità aristoteliche.