Maremma da mangiare
Conoscete lo sfratto di Pitigliano? I biscotti salati di Roccalbegna, il pecorino della stessa città o l'acquacotta? Sono alcuni dei prodotti, meno conosciuti, della Maremma toscana, territorio aspro e bellissimo, che racchiude. Per non parlare del patrimonio vinicolo, dal Morellino di Scansano al Montecucco fino al Sassicaia. Una varietà immensa che in questo fine settimana, da domani fino a lunedì, sarà protagonista della prima manifestazione tutta dedicata a questo territorio, il «Maremma food shire» nel centro Fiere del Madonnino a Braccagni, a Grosseto, promosso dalla Camera di Commercio e in collaborazione con la Grossetofiere e la Provincia. Lì si potrà curiosare, gustare e acquistare tutto quello che questa terra produce da centinaia di anni. In una lotta spesso spietata tra l'uomo e la natura perché la Maremma, fino alle bonifiche iniziate nell'800 dai Granduchi di Toscana, era una zona paludosa, infestata dalle zanzare e dai briganti, area da evitare e «bestemmiare» come facevano i contadini costretti ad abitarci. Ma da questa lotta – e da quella povertà terribile – sono nati piatti indimenticabili. Come ad esempio l'acquacotta, una zuppa che si fa solo nella zona del grossetano, tra le colline e i paesi di Manciano e Scansano e che la tradizione vuole sia stata inventata da un contadino a cui fece visita il Granduca di Toscana di passaggio per controllare i suoi possedimenti. La famiglia non aveva nulla da offrire e così preparò una pietanza con tutto quello che aveva in casa: del pane raffermo, le verdure che aveva nell'orto – tra cui l'immancabile cavolo – messe a bollire appunto nell'acqua e, per nobilitare il tutto visto l'eccellenza dell'ospite, un uovo adagiato sopra. Era nata una delle varianti più buone delle mille zuppe che si fanno in Italia. A Pitigliano si fa invece ancora una torta che viene chiamata lo «sfratto» – una specie di «bastone» fatto da una sfoglia esterna sottolissima riempita con un impasto di miele, scorza d'arancio, noci, semi di anice e noce moscata – mentre a Roccalbegna le nonne preparano il «biscotto salato», una sorta di tarallo al quale vengono aggiunti semi di anice. Ma in questo paese è prodotto anche uno dei pecorini più buoni di tutta la Maremma, che può essere consumato fresco oppure stagionato. Il primo è ottimo grattugiato per insaporire salse, paste e minestre, il secondo si sposa a meraviglia con un tagliere insieme ai tanti salumi e prosciutti che vengono «creati» in queste campagne. Ma la Maremma non è solo terra. È anzi – e soprattutto – cibo legato all'acqua e al mare. Così nella zona di Orbetello dove le dune chiudono uno spicchio di Tirreno formando la famosa laguna, si trovano anguille e cefali. Le prime vengono lavorate e cucinate in tutti i modi, in umido, fritte, affumicate e «scavecciate», una antica ricetta che prevede che vengano lavate e fatte asciugare su uno spiedo all'aperto. Poi si tagliano a pezzi eliminando coda e testa e si friggono in olio bollente fino a quando non diventano dorate. A parte si prepara una marinata con una parte di aceto e una di vino bianco facendola bollire con pezzi di salvia, aglio, rosmarino e peperoncino. Si lascia raffreddare tutto quanto e poi si versa sui pezzi di anguilla fritta sistemati in un vaso di vetro. La bottarga di cefalo (o meglio di muggine come chiamano questo pesce in Toscana) è invece una delle prelibatezze di cui vanno fieri i pescatori della zona. Quella che producono qui è infatti diventata presidio Slow Food. Così come la palamita, una specie particolare di pesce azzurro, simile a un tonnetto, di cui è ricca questa costa.