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L'ossessione di Lolita. Sulla scandalosa ninfetta Nabokov scrisse un prequel

Lolita

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È in questi giorni in libreria «L'incantatore», la breve storia che Vladimir Nabokov ebbe a definire il «primo, piccolo palpito di Lolita» (Adelphi, pp. 116, euro 14). È da decenni che Lolita abita nell'immaginario collettivo e l'idea di un «precedente» - partorito nel 1939, poi accantonato e «ritrovato» nel 1996 - stuzzica la fantasia. Uscito nel 1955, a Parigi, per i tipi dell'Olympia Press, «Lolita» si portò dietro immediatamente il profumo dello zolfo e dello scandalo. E dunque fu un successo. Prima di tutto grazie allo straordinario talento narrativo di Nabokov, scrittore di origine russa, elegante, ironico, intenso nella costruzione di caratteri e scenari. E poi in «Lolita» c'è tutto. Sentimenti e sesso, amore e disamore, illusione e tradimento, morte e dannazione. E spezie di umorismo «nero». Un piatto di squisita fattura erotica, dunque, abbondantemente condito dall'ambiguità, dalla morbosa corrente seduttiva che lo attraversa da cima a fondo, dalla capacità di partorire addirittura un nuovo fenomeno di costume e di entrare prepotentemente nell'universo massmediatico: la ragazzina che diventa l'ossessione e alimenta le allucinazioni dell'intellettuale quarantenne Humbert Humbert - e alla quale Stanley Kubrick nel 1962 dette il volto bamboleggiante e malizioso della biondina Sue Lyon, in un memorabile film interpretato da James Mason, Shelley Winters e Peter Sellers - inaugurò la stagione delle ninfette. Ovvero delle fanciulle che, sbocciando dallo stato «larvale» e mescolando ingenuità e malizia, freschezza e impudicizia, sconvolgono sentimenti e sensi di uomini adulti. In «Lolita», è vero, la passione è mostruosa, ma, in un certo senso, «nobilitata» dal fatto che il prof. Humbert Humbert era stato segnato a vita da un infelicissimo amore adolescenziale sullo scenario della Costa Azzurra: quello per Annabelle, uccisa dal tifo a quattordici anni. «Bloccato» nelle espansioni di una sessualità normale, Humbert Humbert in Lolita ritrova l'oggetto di un desiderio mai sopito e nel perseguirne la realizzazione non si ferma di fronte ad alcun ostacolo di natura morale. Ma è carnefice e vittima, ad un tempo, anche perché se lui è il «diavolo», Lolita, viziosetta com'è, in quell'inferno e in altri ci entra volentieri. Anche il protagonista de «L'incantatore» ha il suo bel carico di vita vissuta, con contorno di cari fantasmi, di tormenti e di scandagli introspettivi. Ed anche qui l'esteta Nabokov si compiace di essergli complice nella dettagliata descrizione della ragazzina concupita: i bei riccioli «castano-ramati, freschi di taglio», gli occhi luminosi che ricordavano «la trasparenza dei chicchi di uvaspina», «la bocca rosa, appena socchiusa talché i due incisivi superiori poggiavano appena sul labbro inferiore sporgente», «l'abbronzatura estiva delle braccia nude con quella liscia, sottile peluria volpina sugli avambracci», «la vaga tenerezza del suo petto acerbo, ma già non del tutto piatto» ecc. Ma le differenze ci sono, e non solamente perché «L'incantatore» (1939) è scritto in russo (titolo originale «Volšenik») e ambientato tra Parigi e la Costa Azzurra, mentre «Lolita» è scritto in inglese e ambientato negli Stati Uniti; non solo, per dirla con Dmitri Nabokov, figlio di Vladimir e curatore della traduzione inglese e della versione italiana, perché «Lolita» ha una maggiore tessitura letteraria e di costume, nel senso che è «una storia d'amore tra la vecchia Europa e la giovane America, un ritratto velenoso dei motel statunitensi e del paesaggio che li circonda, una libera traduzione in versione moderna del puškiniano «Onegin'», col suo «dandy» amorale e lascivo; ma anche, e soprattutto, perché nell'«Incantatore» l'appetitosa ragazzina è davvero innocente, «perversa soltanto agli occhi del folle» incantatore, «fisicamente e sessualmente immatura». Lontanissima, dunque, dalla coetanea yankee, vocata a una precoce sessualità e capace di architettare un intrigo come quello perpetrato col perverso e diabolico Quilty ai danni dell'altrettanto perverso ma meno diabolico Humbert Humbert. Così, la storia «russa» ha una sua «morale»: il disegno criminoso che il sognatore-satiro ha concepito e attuato per poter assoggettare la ragazzina ai suoi desideri (sposarne la madre, ammalata terminale, attenderne la vicina morte e poi fare «da padre» all'orfana, con fuga in Riviera e partenza «alla grande» dalla camera da letto di un albergo...), precipita in sequenze visionarie, con il povero apprendista dèmone che, sorpreso, stordito, sconvolto, e con tutti i «mostri» che lo assediano, finisce inchiodato al suo abisso.

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