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Addio Latilla, il papà della canzone italiana

Gino Latilla

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Cer, adesso è facile dire che anche l'ultimo grande esponente della generazione dei primi Festival di Sanremo se ne è andato e con lui forse l'ultima bandiera del cosiddetto canto all'italiana. Scontato per chi, come Gino Latilla, cantò a Sanremo nel 1953 "Vecchio scarpone", ovvero un concentrato di patriottismo, fra stelle alpine, polverose soffitte e fili d'erba disseccati dal fango; e che nel 1957 propose "Casetta in Canadà", proprio quella "con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà". Per giunta cantata insieme a Carla Boni (che l'anno dopo sarebbe diventata sua moglie) e indossando addirittura un cappello di pelliccia alla Davy Crockett!. A parte che queste canzoni hanno accompagnato l'immaginario dell'Italia della ricrescita e di una grande stagione radiofonica, si potrebbe obiettare che, scritte da grandi autori (Donida, Panzeri, Mascheroni) fecero il giro del mondo ottenendo prestigiose interpretazioni. Ma sarebbe comunque riduttivo nei confronti di un artista che in una carriera lunga e luminosa ha fatto bel altro. Per esempio scoprire Fred Buscaglione. Era il 1954 e Latilla era già un n. 1, se la batteva con Claudio Villa e Luciano Tajoli, ma a differenza di loro non si prendeva tanto sul serio e amava scherzare e sdrammatizzare ogni situazione complicata. Buscaglione si propose come autore: aveva scritto "Tchumbala-bay" e ci credeva. Latilla, inserendo una risata sardonica e utilizzando il suo timbro baritonale, portò al successo quel brano. Successo che arrise, già l'anno dopo, allo stesso Buscaglione, fino ad allora violinista e cantante jazz. Nato a Bari, figlio d'arte - suo padre Mario è stato cantante e noto capocomico a partire dagli anni Trenta - segue subito le orme paterne, debuttando a Bologna nel 1948. Appassionato di radio, riesce a farsi ascoltare dal maestro Cinico Angelini, che rimane colpito dalla sua timbrica e dal modo di stare in scena. Lo assume ma al tempo stesso lo avverte: "Se vuole fare radio, si dimentichi il teatro!". Entrare a far parte dell'orchestra Angelini all'inizio degli anni Cinquanta voleva dire farsi ascoltare alla radio ogni giorno e soprattutto porte aperte al Festival di Sanremo. Latilla, infatti, collezionerà ben otto presenze e una vittoria, nel 1954, con "Tutte le mamme", un brano che già allora si prestava ad infinite parodie. Differentemente da altri colleghi, che si ritenevano i depositari del trillo e del falsetto, Gino Latilla a Sanremo cantava "E la barca tornò sola" e "Vecchia villa comunale" ma la notte in Versilia proponeva i suoi miti provenienti dall'America, dove era stato in tour fin dal 1952. Fu il primo artista italiano a stracciarsi la camicia sul palco, sulla scia del vezzo inventato dal cantante sordo Johnny Ray, ma soprattutto fu il primo a cogliere i bagliori delle novità musicali che stavano arrivando, da Frankie Laine ai Platters. Fu protagonista di un divismo da non credere per quell'epoca. Ai tempi della sua torrida storia d'amore con Nilla Pizzi, dopo esser stato lasciato, mise in piedi un finto suicidio decisamente sofisticato per i tempi. Le sue ammiratrici pensarono bene di guarirgli il cuore inviandogli dei batuffoli d'ovatta imbevuti delle miracolose lacrime di una madonna siciliana. Alla metà degli anni Sessanta si ritirò, ottenendo un posto alla Rai di Firenze grazie all'interessamento di Aldo Moro, che era stato suo professore a Bari. Lavorò con lena ed entusiasmo e divenne anche dirigente. Tornò a cantare negli anni Ottanta formando il gruppo Quelli di Sanremo (con Nilla Pizzi, Carla Boni e Giorgio Consolini), suscitando simpatia e lavorando molto in tv,

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