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Il leone Massud ucciso per aver avvisato gli Usa

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diMAURIZIO PICCIRILLI Il volto sorridente incorniciato dalla barba, il paqol color sabbia calato sulla testa, ammicca in tutto l'Afghanistan. La sua foto, enormi poster sono lungo le strade, negli uffici, nei negozietti di Chicken Street a Kabul. È l'eroe nazionale. Il martire per eccellenza. Ahmad Shah Massud: non uno shahid-kamikaze ma l'uomo della riscossa afghana, ucciso in un attentato dai contorni ancora misteriosi, due giorni prima dell'11 settembre. Il «leone del Panshir», mujhed che ha guidato la resistenza contro l'Armata rossa e poi contro i talebani. Uomo di poche parole, ma aperto e disponibile. semplice e rude allo stesso tempo. Massud possedeva quel carisma tipico degli uomini generosi pronti al sacrificio per gli altri che coagulano le masse e le spingono a imprese eccezionali. Figlio di un poliziotto del regno dell'Afghanistan aveva ricevuto l'insegnamento religioso presso la moschea «Masjed-i-Jame» di Herat dove il padre lavorava. Poi il trasferimento a Kabul dove frequentò il liceo francese. In seguito aveva tentato gli studi in architettura ma lo spirito guerriero che lo agitava sin da giovane gli fece lasciare gli studi. Era il 1975 quando preferì ai libri di scuola la cospirazione e la lotta contro il regime filo sovietico che aveva spodestato re Shah. Organico all'organizzazione dei Giovani musulmani divenne poi esponente di spicco del partito islamico. Da quel momento nulla fu più come prima. Prese le armi e organizzò la guerriglia dopo l'occupazione sovietica. Trovò rifugio a Peshawar nel vicino Pakistan dove si riuniva la resistenza afghana da Gulbuddin Hekmatyar e alla legione straniera islamica che con il tempo divenne Al Qaeda. Ma il suo cuore era in Panshir in quelle valli nel Nord tra la sua gente. Leggeva Guevara e Mao, ma non dimenticava il Corano e fervente musulmano, anche in battaglia, non dimenticava di pregare cinque volte al giorno Allah. Divenne un esperto stratega e trasformò la resistenza afghana di soldati improvvisati in un'armata invincibile. Le sue tattiche, mordi e fuggi, fatte di trappole esplosive e di cecchini che dai monti abbattevano i micidiali elicotteri «Mil», furono le carte vincenti. L'intento di dar vita ad un Afghanistan unificato e pacifico non riuscì dopo la cacciata dei russi. Massud si trovò di fronte una guerra iniziata da parte di Gulbuddin Hekmatyar. Questi era appoggiato dal Pakistan, ormai da anni, dalla jihad contro l'Urss. La guerra civile dei «vincitori» favorì l'ascesa dei talebani e Massud torno nella sua Valle. Il leone del Panshir era un uomo libero. «Il nostro Paese e il nostro nobile popolo è stato brutalizzato, vittima di avidità mal riposta, disegni di egemonia e ignoranza. Anche noi afghani abbiamo sbagliato. La nostra povertà è risultato di innocenza politica, inesperienza, vulnerabilità, vittimismo, liti e personalità boriose. Ma in nessun caso questo giustifica quello che alcuni dei nostri cosiddetti alleati nella Guerra Fredda hanno fatto per minare proprio questa vittoria e scatenare i loro diabolici piani per distruggere e soggiogare l'Afghanistan», dirà qualche anno dopo - nel 1998 - mentre il Paese era dilaniato da una guerra civile e isolato dal regime dei talebani. In un'intervista dell'aprile del 2001 confidò a Ettore Mo del Corriere della Sera: «L'Europa non capisce che non combatto per il Panshir ma per fermare l'integralismo islamico». Massud fu colpito il 9 settembre 2001. Morì quattro giorni dopo per le ferite riportate. Un attentato ascritto ad Al Qaeda che lo considerava un traditore ma lassù in Panshir, sono in molti a credere a un'altra versione. Il comandante Massud aveva messo in guardia gli Stati Uniti di un attentato in preparazione contro di loro, ma l'informazione fu liquidata senza dargli troppo peso. Così due giornalisti di origini tunisine, con passaporto belga e visti dell'Arabia Saudita e degli Usa si presentarono a Khoja Bahuddin. Quando Massud si mise seduto, Abdessanter Dahmane accese la telecamera imbottita di esplosivo e la fece saltare. La morte di Massud eliminò un nemico dei talebani e delle consorterie afghane che attraverso gli «alleati della Guerra fredda», come il definiva Massud, puntavano ad impadronirsi dell'Afghanistan.

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