Il bello delle scuole romane
diLIDIA LOMBARDI Non mi prendete a pernacchie, ditemi invece che «ci può stare» questo panegirico delle scuole romane. Certo, sono temeraria a farlo a ridosso dalla campanella che per la maggior parte suona dopodomani. E però, a parte l'eccitazione del ritrovarsi nel primo giorno di scuola, forse - cari studenti - allevierà l'ansia del ritorno alle sudate carte pensare che oltre quel portone c'è un monumento. Immaginare la storia che è passata tra i banchi. Capire che siete parte di quella storia, che fa l'identità dell'Italia ma anche la vostra. Il viaggio nel bello delle scuole romane è parzialissimo, perché per tutti la propria è un po' come la casa. Vorremmo scappare, ma è un guscio che conosciamo palmo a palmo. Diciamo allora che abbiamo scelto le aule più antiche. Il Visconti, per cominciare. Fu il primo istituto pubblico di Roma Capitale, giusto nel 1870. I laici re piemontesi ci misero lo zampino a scegliere la sede. Un'ala di quello che era stato il fiore all'occhiello di Papa Re, il Collegio Romano, ovvero l'università dei Gesuiti. Ma che sede i preti di Sant'Ignazio si erano costruiti! Un'isola di edifici, cappella e chiesa (all'opposto di piazza del Collegio Romano, Sant'Ignazio è il trionfo degli inganni prospettici barocchi con la finta cupola di Andrea Pozzo), portoni e finestre in pieno stile Controriforma. Guardate, qua accanto, il cortile dell'«Ennio Quirino Visconti» (chi era costui? Un insigne antichista del museo capitolino): il pavimento a stella rimanda all'invenzione di Michelangelo per il Campidoglio, i due ordini del porticato sono forme pure del Rinascimento. Un'armonia da far digerire anche un quattro in latino. La storia del Visconti ha un altro snodo curioso. Ospitò per quattro anni un altro blasonato liceo, il «Terenzio Mamiani», istituito nel 1885 prendendo il nome da un ministro emerito della Pubblica Istruzione. Il dirigismo sabaudo sgomita nella scelta della collocazione definitiva, avvenuta nel 1923. In viale delle Milizie, nell'ortogonale quartiere Prati, zona nuova abitata dai funzionari dello Stato liberale e ideata in modo tale che nessuna strada avesse lo sfondo prospettico del Cupolone di San Pietro. Ma a differenza della severa architettura umbertina, c'è una grazia un po' liberty nel Mamiani, firmato da Vincenzo Fasolo, promotore con Marcello Piacentini della Scuola di architettura di Roma. Su tutto, le linee del portico d'ingresso: curve, quasi ribelli, come i riccioli di una studentessa con la coda di cavallo. Un logo che identifica la scuola. Anche dentro intriganti corridoi, raffinati motivi architettonici, ringhiere in ferro battuto offrono leggiadria. E la piccola scala che introduce alla sala professori - là dove papà e mamme aspettano la doccia fredda - è una piccola sfida architettonica. Doctrina vim promovet insitam rectique cultus pectora roborant utcumque defecere mores dedecorant bene nata culpae («L'educazione eleva la potenza ingenita dell'anima e il buon costume la irrobustisce: dove questo manca, la colpa guasta anche i ben nati») recita nel cortile interno un'iscrizione dai carmi di Orazio. E lo spirito laico aleggia tra le stanze dove studiarono gli antifascisti dei Gap come Giaime Pintor e poi Lussu, Pannunzio, Scalfari. E dove il Sessantotto irruppe facendo del Mamiani il primo liceo occupato dagli studenti. Al «Torquato Tasso» invece studiarono tra i tanti famosi i figli del Duce. E i prof? Il matematico Ernico Castelnuovo, l'italianista Petrocchi, la storica dell'arte Carla Faldi Guglielmi. Scuola «sabauda» anche il Tasso, comunque. Nata nel 1887, dislocata in principio a via Ripetta e approdata solo nel 1908 nella sede di Via Sicilia (era stata lottizzata Villa Ludovisi) opera di un altro grande progettista, Mario Moretti. Gli alunni calpestano il pavimento di pietra, a quadrati color avorio e petrolio, all'uscita passano sotto le arcate delle Mura Aureliane. Un gioco della fantasia, in via di Bravetta, il Buon Pastore, invenzione eclettica di Armando Brasini che fa il verso al cortile del Belvedere in Vaticano e al cupolino borrominiano di Sant'Ivo alla Sapienza. Era un convento, adesso ospita i bambini delle elementari. Che pensano di entrare nella casa di una fata. O di una strega.