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L'amore raccontato con tanti silenzi

claudia pandolfi

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Sono un ammiratore di Cristina Comencini. Per i romanzi che scrive, per i film che poi ricava da quegli stessi romanzi. E lo sono anche di più ora, dopo il suo nuovo film, "Quando la notte", che ha tratto da un suo bel romanzo con lo stesso titolo. Un amore che si annuncia, tra non poche difficoltà, e che, alla fine, pur volendolo i protagonisti, non riuscirà a realizzarsi. In climi trattenuti e sospesi, attraversati da simboli lievi al momento di chiudere. Lei Marina, con un figlio di due anni, lui Manfred, separato dalla moglie. Si incontrano in montagna dove lui fa la guida alpina e dove lei ha deciso di prendersi una vacanza. Ma il bambino gliela guasta, piange tutta la notte, di giorno è pieno di esigenze, così ecco che lei gli si ribella, duramente, e Manfred, polemico, se ne accorge. Però, curiosamente, anche quella circostanza li unisce, pur in modo inespresso, così anni dopo lei tornerà per incontrarsi di nuovo con lui. Ma tutto, appunto, rimarrà allo stato di intenzioni. Sguardi, silenzi, momenti non detti che sostituiscono per il cinema i tanti monologhi interiori di cui era ricco il romanzo. Si segue affidandosi spesso all'intuizione e trovando, implicite in ogni passo, la spiegazione e la logica, anche quando si propongono fatti in apparenza esteriori, con sapori di cronaca, però, sempre apparenti. Si respira un saldo intimismo, si aderisce, anche con emozioni, a molto più di quello che ci vien raccontato. Perché tutto affiora se non dall'inconscio certo da pensieri segreti che i personaggi si palesano quasi di riflesso, privilegiando, appunto, il silenzio. Esprime tutte queste cifre soprattutto la recitazione di Claudia Pandolfi, con un viso che sa farsi maschera muta ma carica di tensioni e di drammi. L'asseconda con accenti fermi Filippo Timi che, pur in apparenza più scoperto, è votato anche lui al non detto. Maternity Blues, di Fabrizio Cattani, con Andrea Osvart, Chiara Martegiani, Daniele Pecci, Italia, 2011. CONTROCAMPO. Almeno una citazione, ora, per un'opera seconda, "Maternity Blues", scritta e diretta da Fabrizio Cattani, specialmente noto (e premiato) nel settore dei cortometraggi. Lo spunto l'ha tratto da un testo letterario di Grazia Verasani, "From Medea", il cui titolo introduce subito nel tema, che è quello dei matricidi. L'azione, così, si svolge per intero in un ospedale psichiatrico in cui si fanno a poco a poco emergere in primo piano quattro donne responsabili, ciascuna, di aver ucciso i propri figli. Le seguiamo, con alle spalle situazioni diverse ma tutte adesso accomunate dalla coscienza di una colpa che, nonostante un clima accogliente e comprensivo attorno, per nulla claustrofobico, porterà una a suicidarsi, mentre un'altra, pur perdonata dal marito, preferirà condannarsi per sempre alla solitudine. Un seguito di facce e di gesti, affidato ad immagini asciutte fino al riserbo, in cifre in cui, sulla condanna o sul perdono, trova spazi più intensi la pietà. Tutti molto attenti e precisi gli interpreti. Vi spicca in mezzo, nelle vesti dolorose della donna che rifiuta la comprensione pur sofferta del marito, Andrea Osvart, già vista, e altrettanto apprezzata, nel primo film di Cattani, "Il Rabdomante".

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