Quando la Chiesa accoglie gli immigrati
FUORICONCORSO. La gioia di un film di Ermanno Olmi! La provo quasi dai suoi esordi, con "Il posto" e via via mi è cresciuta dentro più la sua carriera proseguiva quel cammino prestigioso che ne ha fatto uno dei massimi autori del cinema italiano: dagli anni Sessanta ad oggi, in occasione dei suoi fecondi ottant'anni. Un poeta, sempre riflettendo quella poesia nei temi che gli sono più cari, la cifra autenticamente religiosa, quella morale, quella civile. Come in questo "Villaggio di cartone" in cui c'è tutto Olmi, il suo mondo, le sue idee e, come sempre, il suo senso alto del cinema, senza mai un'ombra. L'attualità, il momento degli immigrati clandestini in fuga dalle loro terre, di passaggio in Italia prevedendo altre destinazioni più lontane. E dove sostano? Qui è la chiave. In una chiesa che è stata appena svuotata di tutto, nonostante il vecchio parroco che vi celebrava da cinquant'anni si sia rifiutato di lasciarla. Per colmare questi spazi vuoti quel gruppo di immigrati con cartoni e stracci vi costruisce un attendamento in cui potersi riparare. Fuori la polizia li cerca, ma deve vedersela con il vecchio prete pronto, costi quello che costi, in nome della carità vera, a sbarrarle la strada. Fino a quando, di notte, non riprenderanno la loro peregrinazione verso altre mete. Il vecchio prete, da una parte, i clandestini al suo fianco, i poliziotti di fronte. L'azione si affida compatta a questo triangolo che serve a Olmi per inserirvi i pensieri che seguono da sempre il cammino del suo cinema: la difesa della persona umana, la distinzione precisa fra una religione senza discriminazioni e un'altra gelidamente imposta dall'alto. Con un linguaggio che dà spazio ai singoli, studiandone con realistica finezza le psicologie, ma riserva passaggi quasi lirici ai cori, traendo da quei clandestini echi ora fortemente drammatici ora calmi e quasi distesi. Mentre le immagini, sia nelle tante facce in primo piano, sia, appunto, nei cori in campo lungo, si affidano sempre a composizioni figurative a dir poco preziose, pur rigorosamente tenendo presente il reale ed evitando di cedere anche un solo istante alla calligrafia. Gli interpreti sono soprattutto facce, sempre però eloquentissime. Vi spiccano in mezzo, con segni forti quella di Michael Lonsdale, il prete, e quelle di Rutger Hauer e di Alessandro Haber. Sono la voce del film. Come tutto attorno.