Salomè made in Usa con Al Pacino
La Salomè di Pacino. «Avere questo premio a Venezia è un onore, ma sono qui alla Mostra anche per questo film personale e sperimentale». Così ha ieri esordito Al Pacino presentando (fuori concorso) il suo «Wild Salomè» e ricevendo sul Lido il prestigioso Premio Jaeger-Le Coultre Glory to the Filmaker 2011 Award. In quest'occasione ha pronunciato un po' di frasi in siciliano, oltre a un fiero «Sono italiano per la miseria!». Il 71enne divo hollywoodiano è stato accolto da scroscianti applausi e da decine di flash mentre arrivava all'imbarcadero. Giacca scura, pantaloni chiari e camicia bianca, l'attore era accompagnato dall'eterea Jessica Chastain: «Quando l'ho vista ho capito che poteva essere solo lei la mia Salomè. "Wilde Salomè" non è né un film né un documentario. Volevo mostrare quello che avevo in mente e riflettere su chi fosse Oscar Wilde. Poi ho dovuto allontanarmi dalla storia, proprio come succede ai pittori per i quadri. Solo quando l'ho lasciata per cinque mesi, alla fine ho avuto l'illuminazione per completare il lavoro». Pacino rivendica anche la ponderosa ricerca fatta su Shakespeare e cominciata con il «Looking for Richard», dedicato a Riccardo III, e proseguita con il «Mercante di Venezia». «Negli Usa il rapporto con Shakespeare è problematico ed è difficile essere accettati come un americano che recita Shakespeare. Sono stato diviso tra cinema e teatro e, quando ho cominciato a filmare le mie piece, ho compreso la magia del cinema. Ma a differenza di Orson Welles non ho mai abbandonato il teatro. Oscar Wilde era un genio visionario, che ebbe il coraggio di andare contro corrente e di vivere su terreni pericolosi per quei tempi, anche per la sua sessualità. Per questo fu perseguitato e facendo il mio film ho capito la profondità dei pregiudizi nei suo confronti». E poi, a sorpresa, confessa di non aver mai sentito parlare della Salomè di Wilde portata a teatro da Carmelo Bene, ma in compenso porterebbe volentieri in scena una commedia di Pirandello. Scandaloso Fassbender. In concorso ieri sul Lido è sbarcato invece l'annunciato film scandalo «Shame» di Steve McQueen accolto calorosamente dalla stampa. Il regista britannico racconta la storia di un erotomane interpretato da Michael Fassbender (già apprezzato nei panni di Jung nella pellicola «A dangerous method» di Cronenberg). Nel lungometraggio l'attore (molto sensuale e virile) si aggira nudo nella sua casa, fa pipì, si masturba continuamente e dovunque, intrattenendosi con prostitute per veloci prestazioni. Ma non gli basta. Si collega anche su siti porno persino mentre lavora in ufficio. Tanto sesso (forse troppo), anche gay, in una storia che racconta soprattutto la voglia di redenzione del protagonista Brandon (Fassbender) che convive con una sorella, Sally (Carey Mulligan), piena di problemi caratteriali come il fratello. L'attore tedesco (diventato celebre con «300» di Snyder e poi con «Bastardi senza gloria» di Tarantino) svela che nelle scene hard «non mi sono sentito a mio agio. Per fortuna non ho dovuto provare molte volte. Riguardo all'uso della cocaina (che si vede nel film ndr) è una cosa con cui ho discusso molto con Steve ma il film in fondo parla di eccessi, di dipendenze e il sesso e la droga sono due cose che si collegano l'un l'altra». Per il regista McQueen il film è invece «politico», proprio come quello del suo esordio, «Hunger» sempre con Fassbender nel panni dell'attivista dell'Ira Bobby Sands, morto in carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame. «In quel film - ha sottolineato McQueen - parlavo di politica e di Irlanda. In questo c'é ancora la politica ovvero quello che accade oggi, il web e tutto il resto. Lì c'era un uomo prigioniero e qui invece un uomo troppo libero. E la troppa libertà di oggi è in fondo la nostra prigione». La sesso-dipendenza di Brandon è totale. Per lui che non si è mai sposato e che sembra non funzionare troppo quando si lega ad una donna sentimentalmente, c'é anche la deriva gay, in cui Brandon in una dark room per soli uomini bacia in bocca e si lascia andare ad effusioni erotiche con un altro uomo. Patti Smith ricorda Fernanda Pivano. «Ci siamo incontrate tante volte durante gli anni, non mi ricordo neanche quando ci siamo conosciute. La cosa che preferivo era cantare per lei. I suoi occhi non perdevano mai il contatto con i miei, e ricordo sempre il suo sorriso», ha dello la cantante per la presentazione di «Pivano blues. Sulla strada di Nanda», documentario di Teresa Marchesi (Controcampo), in cui si racconta la scrittrice e traduttrice, scomparsa due anni fa, anche nel suo lavoro di valorizzazione dei grandi cantautori, da Dylan a De Andrè, da Vasco Rossi a Ligabue (nel filmato presenti e intervistati). La sacerdotessa del rock, ieri sul red carpet ha cantato alcune sue canzoni, mentre Piero Pelù e Ghigo dei Litfiba debuttano come autori per il cinema. Intanto, Smith ha appena finito il suo nuovo album, uscirà verso marzo e fra le canzoni ce ne è una dedicata a Amy Winehouse.